Bambini e schermi: perché usarli insieme è importante
I genitori chiacchierano tranquilli tra un boccone e l’altro. Sorridono, scherzano, parlano di lavoro. Ogni tanto lo sguardo cade sul bambino seduto sul seggiolone di fronte lo smartphone del papà che riproduce su YouTube il cartone per bambini Masha e Orso. Lo imboccano mentre continuano tranquillamente a parlare. Su YouTube sta per iniziare invece una nuova puntata del popolare cartone dal titolo Divertirsi in famiglia (chissà se quel piccolo si sta divertendo con la sua famiglia?). Per circa un’ora quel bambino non si è mosso dal suo seggiolone e il suo sguardo è stato perennemente catturato dallo smartphone.
Seguendo alcune definizioni date dal Joan Ganz Cooney Center, centro specializzato nello studio dell’apprendimento dei bambini attraverso i media, possiamo dire che anche se quel bambino stava guardano i cartoni della televisione sullo smartphone accanto ai suoi genitori era in realtà completamente isolato.
L’importanza del coviewing
Senza entrare nel merito delle sempre discutibili scelte educative di un genitore (non potrebbe essere altrimenti), può essere utile soffermarsi sulle modalità con cui si può condividere un’esperienza digitale con i bambini e sul perché è importante farlo. Gli studi sul coviewing, ovvero il guardare la televisione con i figli, iniziano negli anni ’80 del secolo scorso. Alcuni ricercatori scoprirono che guardare alcuni programmi insieme ai figli migliorava il livello di apprendimento dei bambini. Non solo. La comprensione di ciò che veniva detto all’interno della televisione aumentava se i genitori non si limitavano a guardare ma interagivano con loro parlando del programma. Detto in altre termini, più i genitori interagiscono con i figli di fronte alla tv, più i bambini fanno un’esperienza positiva.
Genitori e tipo di mediazione: restrittiva, sociale e istruttiva
Restando ancora un attimo sulla televisione, ancora oggi di gran lunga il media più utilizzato dai bambini più piccoli, esistono 3 possibili modalità con cui i genitori possono regolare l’approccio a questo mezzo. La prima viene chiamata restrictive mediation. Sono quei genitori che si limitano a dare delle regole sui contenuti da vedere e sulla quantità di tempo da passare di fronte alla televisione. La seconda viene invece chiamata social coviewing. I genitori guardano la TV con i figli senza però discutere con loro sui contenuti dei programmi. La terza è invece denominata instructive mediation. Si tratta della modalità più dispendiosa in termini di tempo e di sforzi, ma è la più utile per i bambini. Parlare con loro di ciò che stanno guardando, chiedergli se hanno compreso quanto accaduto e aiutarli a focalizzarsi su alcuni aspetti rende infatti l’esperienza della televisione un’esperienza attiva e, possiamo dirlo senza problemi, positiva. Il problema a questo punto è chiaro: non è il medium a essere sbagliato, ma la modalità con cui ci si approccia ad esso.
La proliferazione degli schermi
Come si sarà potuto notare questa classificazione non tiene conto del fatto che negli ultimi anni sono aumentati i dispositivi personali, come smartphone e tablet, e che molti più genitori sono impegnati in attività fuori casa. Ci sono inoltre molti adulti, come quei genitori al ristorante, che non riescono a riconoscere il grado di solitudine a cui condannano un bambino in cambio di un po’ di tranquillità. Si pensa, in maniera errata, che sia il bambino a voler vedere i cartoni mentre si mangia o quando si viaggia in macchina, arrivando poi a definirlo dipendente da questi strumenti.
TV e dispositivi mobile diventano allora babysitter in grado di intrattenere i bambini. Non possiamo però pensare che siano i contenuti proposti dai media, che possono anche essere molto educativi, ad educare i bambini. Questo semplicemente perché la ricerca ha dimostrato in vari campi che è solo la mediazione di un adulto a rendere fruibile un contenuto presentato su qualunque medium ai bambini.
Come poter allora far fronte a questa nuova situazione? Come realizzare la modalità che ho prima definito instructive mediation anche con i nuovi media? I ricercatori del Joan Ganz Cooney Center parlano a tale proposito di Joint media engagement, ovvero di cercare interazione mettendo insieme i vari media oggi a disposizione. A differenza di quanto accadeva con la televisione, oggi sono possibili altre modalità di intrattenimento oltre al guardare insieme. Ad esempio giocare, cercare, leggere, contribuire a costruire qualcosa e creare.
L’importante è continuare a insistere nella direzione del non lasciare soli i bambini di fronte a qualsiasi tipo di schermo e trovare modi per interagire con loro. In questo modo non solo si limitano gli effetti negativi, ma si rinforzano quelli positivi.
Potremmo dire, per concludere, che sarebbe bene limitare il tempo che un bambino passa di fronte a qualsiasi schermo, televisione compresa, per poter gestire con più qualità quei momenti. I media permettono sempre di più di fare esperienze coinvolgenti ma, per poterle apprezzare, è necessaria la presenza di un adulto. Evitiamo invece di lasciare i bambini da soli di fronte a uno schermo, anche se sono seduti vicino a noi. Mettiamoci il cuore in pace, nessun mezzo può svolgere la funzione di babysitter.