Più umani con il digitale ai tempi del Coronavirus

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Se abbattiamo i muri, se la smettiamo di pensare solo a noi stessi, se proviamo a guardare oltre il nostro orizzonte, possiamo dire di avere imparato qualcosa dalla difficile emergenza da Coronavirus. Ci possiamo finalmente rendere conto dell’umanità delle persone, del fatto che dietro a ogni singola persona c’è una storia, con le sue fatiche e sofferenze, con la sua solitudine.

Ho la sensazione che questo virus abbia messo in evidenza le nostre solitudini.

Eravamo soli, nelle nostre vite, nei nostri programmi, nel dover essere produttivi, nelle nostre case. Oggi forse ci stiamo riscoprendo un po’ meno soli. Sembra paradossale. Ma come, proprio ora che ognuno di noi è chiuso dentro la propria abitazione senza contatti con l’esterno siamo meno soli? Eppure sta succedendo. Telefonate, chat, videochat, videoconferenze (anche di famiglia), live sui vari social… parliamo, ci interessiamo alla vita degli altri, condividiamo le nostre storie e ascoltiamo quelle degli altri perché sentiamo quanto sono importanti per poter andare avanti.

Questo virus ci sta rendendo più umani.

Nel senso che ci sta facendo ricordare quanto siamo fragili, mortali, impotenti. Sentiamo che non possiamo fare nulla contro la malattia, decide lei.

Però una cosa la possiamo fare, forse la più importante per noi umani: parlare.

La parola ci rende esseri umani, la parola ci permette di affrontare la malattia, la parola apre un ponte nei confronti degli altri. La parola genera un sorriso, un pensiero felice.

Oggi questa parola passa soprattutto dal digitale.

Quel digitale che tanto abbiamo criticato perché toglieva spazio alle nostre vite in carne e ossa. Oggi, che la vita all’aperto è pari allo zero, non ci resta che il digitale. E meno male che ce l’abbiamo, aggiungo. Non tanto per i videogame o le serie TV, ottimi strumenti di intrattenimento. No.

Il digitale è lo strumento che veicola le nostre parole e che sta permettendo di stare in relazione all’altro. Ci rende umani.

Anche la scuola si è messa in moto. In questa situazione dare ai ragazzi l’opportunità di vedere i propri compagni è molto importante. Avere un insegnante che ti pensa, che ti chiama per nome, che ti chiede come stai? È vitale. Di nuovo, la relazione al centro. L’essere umani, parlare con gli altri, dare senso a questo momento attraverso uno scambio, raccontare le nostre paure e le speranza per il futuro.

Se la scuola oggi è importante non lo è per i compiti e per il rispetto del programma didattico. Lo è perché può mettere i ragazzi in relazione tra di loro.

Li può stimolare a non lasciarsi andare, a non demordere, a cercare nuovi spazi di approfondimento. Anche la scuola può finalmente recuperare il suo vero ruolo: quello dell’incontro, dello scambio. Solo a partire dall’incontro ci può poi essere apprendimento.

Penso allora che in questo periodo sia importante guardare quegli schermi in mano ai ragazzi con un occhio finalmente nuovo. Privilegiando quei luoghi in cui il digitale è relazione.

Giocare a un videogame con un amico, videochattare dalla propria camere, scriversi, andare sui social, commentare una serie TV. Certo, questo non significa che debbano venire meno le regole importanti, come ad esempio l’utilizzo dei social in età troppo precoce piuttosto che il mettere online informazioni personali o eccessivamente intime. Voglio dire che questo mio discorso non deve essere confuso con un “liberi tutti, ognuno faccia quello che vuole”.

Il coronavirus ci sta obbligando a osservare il digitale da una nuova prospettiva.

Nel periodo più difficile dal dopoguerra ad oggi gli strumenti digitali ci stanno facendo riscoprire l’importanza di una relazione diversa tra noi. Più lenta, più profonda, più sincera. Sta obbligando tutti noi, anche i più scettici, a non averne paura. A cercare dei modi per continuare a far funzionare l’incantesimo dell’incontro tra le persone. E quando ci si riesce, come nel caso dei ragazzi connessi nella loro classe virtuale, la felicità è tantissima. Per tutti. Anche per quei genitori che avevano messo in dubbio quei professori che oggi, con tanta umiltà, stanno inventando strade nuove per creare relazionePoi torneremo alla normalità di prima.

Anche se, arrivati a questo punto, pure quella parola, normalità, dovrà essere rivista.

Ritorneremo ad incontrarci, a lavorare, a giocare al parco, a fare le cene. E forse avremo riscoperto l’importanza dello stare insieme, che significa rinunciare a qualcosa di personale per fare spazio a qualcosa dell’altro.

E il digitale, forse, ci farà un po’ meno paura.