La vita dei bambini negli ambienti digitali: c’è tanto da fare, ma abbiamo iniziato a farlo
Lo psicologo Alberto Rossetti torna a parlare di bambini e mondo connesso. Lo fa con un libro dal titolo molto esplicativo: La vita dei bambini negli ambienti digitali, edito all’inizio dell’anno da Edizioni GruppoAbele.
Il suo è un punto di vista che lascia poco spazio a facili formule, decaloghi e generalizzazioni, piuttosto accoglie la complessità, le distinzioni e le sfumature. L’obiettivo è far capire agli adulti che, aldilà di passi falsi e rischi sempre in agguato, c’è modo e spazio per costruire la propria “genitorialità digitale”, relazionandosi alla tecnologia con consapevolezza e coerentemente al proprio stile famigliare. L’importante è informarsi, confrontarsi e stare nel solco di una strada ormai segnata.
Ecco alcune domande che gli abbiamo rivolto per anticiparvi i temi trattati nel libro.
Nel tuo libro sei determinato ad affermare che “La Rete non è più in discussione” e che anzi è un diritto dei minori. Come ci deve guidare questa considerazione nella missione genitoriale, in relazione a un mondo connesso sempre più pervasivo?
Il primo principio della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia dell’adolescenza, approvata nel 1989, è il principio di non discriminazione e dice che i diritti devono essere garantiti a tutti minori. Nel 2021, dunque 32 anni dopo, le Nazioni Unite adottano il Commento il n.25 chiamato Sui diritti dei minorenni in relazione all’ambiente digitali dove viene detto non solo che Internet non è più in discussione, ma anche che è un diritto di tutti i bambini in ogni parte del mondo poter accedere alla rete, ovviamente tenendo con delle loro capacità in evoluzione. Nel Commento si legge ad esempio che “un accesso consapevole alle tecnologie digitali può aiutare le persone minorenni a esercitare l’intera gamma dei propri diritti civili, politici, culturali, economici e sociali. Tuttavia, se l’inclusione digitale non viene raggiunta, è probabile che le disuguaglianze esistenti aumentino e che ne possano nascere di nuove”.
Penso sia importante cambiare prospettiva e adottarne una nuova. Invece di continuare a pensare di doverci difendere dalle nuove tecnologie, dovremmo accorgerci della fortuna che abbiamo nel poterle utilizzare. Da qui, da questa consapevolezza, è più facile fare delle scelte che aiutino i genitori e i bambini a non perdersi di fronte all’enormi possibilità che sono oggi sempre a disposizione.
Il tuo approccio all’educazione digitale dei bambini non è normativo: difficile stilare regole che funzionino per tutti i contesti famigliari, meglio mettersi in ascolto e trovare ciascuno la propria strada. Insomma, la formula magica non c’è. Come si possono rassicurare i genitori?
Proprio l’assenza della formula magica rende i genitori protagonisti dell’educazione dei figli, ovviamente insieme a tutte quelle figure che a vario titolo di occupano del minore, dagli altri parenti ai maestri di scuola, dagli allenatori agli animatori. Siamo sempre alla ricerca delle ricette, dei vademecum, delle linee guida mentre dovremmo aprire maggiormente gli occhi di fronte ai bambini e vedere in che modo reagiscono ai vari stimoli, anche digitali, che incontrano sulla loro strada. Per fare questo, però, è importante conoscere un po’ di più gli ambienti digitali in cui i bambini si muovono per evitare di lasciarli soli.
A dire il vero però, nel libro parlo dell’esistenza di un approccio corretto al digitale, lo stile bilanciato. L’invito è quello di non aprirsi in maniera acritica a tutto ciò che arriva di nuovo solo perché è digitale ma neanche troppo chiusi e restii a fare spazio alle novità. Lo stile bilanciato ci obbliga a chiederci cosa può essere utile adottare all’interno della nostra famiglia e con i nostri figli e cosa è invece meglio lasciare fuori. Insomma, è lo stile che più di tutti ci invita a esercitare un po’ di funzione critica, a dire ad esempio sì a un videogame e no a un altro, sì a un certo video su YouTube e no all’utilizzo di TikTok senza limiti.
Ancora una volta torni a parlare di “sharenting” (la condivisione in Rete di foto e informazioni relative ai propri figli), un fenomeno diffusissimo e a più facciate. Perché i genitori devono diventare più consapevoli rispetto a questa pratica? A quali conseguenze può portare?
Lo sharenting è purtroppo un tema che ritorna, sul quale facciamo fatica a fare dei passi avanti. Anzi, se vogliamo il discorso è oggi ancora più complesso perché al “vecchio” modo di condividere in rete le foto e i video dei bambini si sono aggiunte delle figure nuove, gli influencer (mamme, papà o famiglie), che pubblicano contenuti che gravitano costantemente attorno ai figli. Da un lato troviamo quei genitori che pubblicano qualche foto ogni tanto, magari per arrivare ad amici e parenti, dall’altro persone che non fanno altro che portare i loro bambini in rete. In questo ultimo caso, ho coniato un nuovo termine che è parentainment, ovvero la genitorialità che diventa intrattenimento, show, performance. I
l problema è che a farne le spese sono i bambini, ignari protagonisti di questo continuo racconto della loro quotidianità che di fatto li espone di fronte a un pubblico di perfetti sconosciuti. I rischi di questo tipo di comportamento possono essere tanti e per questo penso che i genitori dovrebbero diventare molto più consapevoli di fronte a questa pratica. Chiediamoci se davvero ha senso sacrificare la privacy di un bambino, perché di questo si tratta, in nome di un post, una storia o un reel? Ma questo fenomeno, che sia sharenting o parentainment, ci racconta anche di genitori più isolati e soli, che faticano a confrontarsi con amici e parenti, preferendo l’anonimato della rete o il consiglio di qualche influencer. Da questo punto di vista, forse, dovremmo ripensare le nostre vite e i nostri territori, sempre meno pronti a sorreggere il genitore durante i primi anni di vita di un figlio.
Nonostante la complessità del panorama educativo che descrivi, tra sfide e rischi, nel tuo libro si percepisce ottimismo. Affermi che “C’è ancora tanto lavoro da fare, vero. Ma la direzione è segnata”… in che senso?
Come accennavo all’inizio, da più di un anno abbiamo una nuova bussola a farci da guida: il Commento n.25 sui diritti dei minorenni in relazione all’ambiente digitale. Qui c’è scritto che ognuno deve fare la sua parte. I genitori e gli educatori devono formarsi e alfabetizzarsi al digitale; chi progetta questi ambienti deve tenere conto dei diritti dei minori e non cercare delle vie per sfruttarne l’immaturità; i ricercatori e chi come me si occupa di queste tematiche devono continuare a studiare e a fare ricerca; gli Stati devono vigilare e mettere a disposizione risorse economiche.
Gli ambienti digitali fanno parte delle nostre vite, anche di quelle dei bambini, e chi non vuole accorgersi di questa evidenza è anche il primo a non essere loro d’aiuto perché non li accompagna nella scoperta di questi ambenti ma li lascia soli. Il mio ottimismo nasce allora da questa consapevolezza, che c’è tanto lavoro da fare ma che se non altro abbiamo iniziato a farlo. Inoltre, se davvero ognuno si prende il suo pezzo, i risultati non potranno che essere soddisfacenti!