Punti di vista: Luca De Tommasi
Come lavora un “narratore di app”? Come cambia il suo rapporto con il testo scritto, quando in gioco non ci sono più solo parole e immagini, ma anche animazioni, interazioni e suoni? Abbiamo rivolto queste domande a Luca De Tommasi, redattore da molti anni in una casa editrice scolastica e ora anche copywriter per tre fiabe per la smart tv di Samsung.
Luca, qual è il tuo background professionale?
Da sette anni lavoro come redattore in una casa editrice di scolastica. E’ stata – e continua ad essere – un’ottima palestra, perché è un ambito che costringe a considerare e mediare diverse esigenze: quelle del docente, quelle dell’alunno, quelle del mercato. In questa ottica, mi ha insegnato a lavorare cercando di rispondere a delle necessità, e a focalizzare il risultato sull’efficacia pratica del testo, senza voli o svolazzi pindarici.
Un’altra grande lezione dell’editoria scolastica è che non ci si può nascondere dietro le parole, come invece succede – in maniera del tutto legittima: questo è il loro fascino – in altre forme di scrittura come la narrativa, la poesia, la stessa pubblicità. Il fumo, le luci e il coniglio dal cappello sono armi che non possiamo usare: tutto deve essere corretto e chiaro, semplice e giusto. E’ un vincolo che obbliga a pesare le parole con molta attenzione. Come diceva Carver: “le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste”.
Come sei arrivato a scrivere testi per le fiabe su tablet?
Un amico – Raffaele di Overmob – sapeva della mia passione per la scrittura e del mio lavoro in casa editrice. Sapeva anche che avevo già adattato su commissione una fiaba destinata a una app per tablet, e mi ha proposto di partecipare in veste di copywriter a un progetto commissionato da Samsung per tre fiabe per la loro smart tv. Gli sono grato di avermi coinvolto: il team con cui ho avuto il piacere di lavorare (illustratore, compositore delle musiche, programmatori) si è da subito rivelato professionalmente e umanamente ispirato.
Quale caratteristiche deve avere un testo per bambini per essere fruito sul tablet?
Anche in questo caso, abbiamo a che fare con una doppia esigenza: la prima è quella di stendere un testo a misura di bambino da un punto di vista lessicale e di rendere comprensibile e scorrevole lo sviluppo della storia; la seconda – meno importante ma comunque da considerare – è quella di rendere il testo appetibile e facilmente leggibile anche nella sua veste grafica.
Dal punto di vista lessicale, mi sono preso qualche libertà. La fiaba può essere letta dal bambino, ma può anche essere ascoltata dalla voce narrante, o semplicemente letta dal genitore, quindi non mi sono fatto grandi scrupoli a inserire qua e là termini che possono non rientrare nel vocabolario di un bimbo: in ogni caso il senso della frase si capisce sempre – anche e soprattutto grazie alle immagini. E poi è bello punzecchiare la curiosità dei piccoli. Tanto per rimangiarmi subito la citazione di Carver, a volte qualche termine svolge meglio il suo lavoro evocando una sensazione piuttosto che defindendola con precisione: ad esempio, il termine “arcigno” riferito a un losco figuro rende già l’idea, specie se letto con la giusta intenzione. Quindi il bambino ha già una sensazione, un sapore, che lo coinvolge e lo stimola: quando chiederà “mamma, ma cosa vuol dire arcigno?”, allora oltre al divertimento della fiaba avremo anche raggiunto un minimo risultato didattico.
Per quanto possibile, poi, cerco di dare alla pagina una sua musicalità, un suo “passo”, un ritmo interno che aiuti la lettura. Poi ci sono una serie di accorgimenti molto banali ma sempre validi: usare la paratassi, spezzare i periodi lunghi, andare a capo, ecc. Al netto di tutte queste riflessioni, possiamo liquidare tutto con la leggerezza di una battuta: quando si annoia un adulto si fa cultura, quando si annoia un bambino si commette un crimine!
Come ti relazioni con le altre figure coinvolte nel processo di creazione/produzione dell’app?
Il testo è stato il punto di partenza, e nelle sue diverse stesure è stato letto da tutto il team: le indicazioni e le osservazioni raccolte mi hanno permesso di stendere la versione finale accogliendo le esigenze di tutti. Una volta definito il testo e la sua divisione in unità narrative, la palla è passata all’illustratore, che ha definito lo storyboard in accordo con i programmatori, tenendo quindi conto di limiti e potenzialità della tecnologia. Con un primo abbozzo di storyboard, il compositore può iniziare a musicare la storia.
Come ho accennato prima, lavorare in team è stata un’esperienza stimolante e gratificante. In particolare la collaborazione e lo scambio di idee con l’illustratore e il compositore delle musiche ha fatto sì che il testo sia stato parte di un organismo vivo, che cambiava e cresceva allo spuntare di nuove idee, o di nuovi problemi che conducevano a soluzioni migliori.
Ad esempio, ho modificato alcune caratteristiche fisiche dei personaggi, per farli aderire ai bellissimi disegni proposti. Inoltre, dei passaggi in rima sono stati trasformati dal compositore in vere e proprie canzoni: anche in quel caso, abbiamo poi lavorato insieme per limare la metrica e in generale per rendere il testo più adatto alla musica. E’ stato un processo creativo molto vivace e allegro, che la professionalità, la modestia e la simpatia umana del team ha reso ancora più gratificante.
Che differenze trovi ci siano a prodotto finito, tra una fiaba in digitale e una su libro?
Questa è una domanda difficile. In generale, io credo che il supporto cartaceo permetta quello che reputo il passaggio più importante: lo sviluppo della fantasia. Che non deriva solo dalla sollecitazione visiva – in questo le soluzioni interattive delle app sono fantastiche! – ma dal tempo necessario alla loro elaborazione. Un bambino che rimane con lo sguardo imbambolato sul disegno di un libro sta facendo il viaggio più bello del mondo: quello all’interno della sua immaginazione. Partito dall’immagine di un coccodrillo, chissà adesso dov’è, dove lo sta portando la sua fantasia.
Perché questo avvenga, per me, è importante che ci siano momenti vuoti, minuti senza girare pagina, tempo per fermarsi. Questo lo vedo più facile con un libro cartaceo: su tablet, la voglia di andare avanti, di scoprire quali colori e sorprese ci regalerà lo schermo, di sfruttare l’interattività delle immagini, porta probabilmente a un maggiore coinvolgimento immediato, ma forse sacrifica quei momenti di pausa, di stacco, in cui parole e immagini hanno la possibilità di sedimentare e stimolare una partecipazione meno da film d’azione ma più personale.
Ma non è mia intenzione passare per luddista o per vecchio barbagianni: avere più strumenti è una cosa assolutamente positiva che va a beneficio dei bambini, il tablet non esclude il libro e viceversa, anzi!
Vista la tua lunga esperienza nell’editoria scolastica e alla luce di questo tuo lavoro con Overmob, come credi che debbano cambiare i testi scolastici per adeguarsi a una didattica al passo coi tempi dei cosiddetti “nativi digitali”?
Beh, questa è una domanda cui non mi sento in grado di rispondere. I nativi digitali per ora restano un bellissimo mistero da scoprire, e l’editoria scolastica si sta adeguando alle nuove esigenze.
In linea generale, credo che il caro vecchio buon senso sia ancora la bussola più affidabile per guardare al futuro. La scuola e i supporti didattici è giusto che cambino, che si evolvano e sfruttino le nuove potenzialità di una tecnologia che mai come ora sembra devvero virata verso una democratizzazione del sapere e dell’esperienza, anche comunitaria. Chi punta i piedi o è in malafede o ha paura: in entrambi i casi la storia lo lascerà indietro.
Ma è anche necessario che questa proiezione nel futuro rispetti una giusta e fisiologica gradualità, coerente e compatibile con le esigenze di tutti gli attori coinvolti: strutture scolastiche, alunni, docenti, genitori, editori. Se uno solo rimane indietro, la catena si rompe e si sacrificano competenze, si vanificano investimenti, si sprecano cervelli. Si fa, insomma, un passo avanti e due indietro.