Sapere o capire? La scuola è al bivio
Nel corso dell’ultima edizione di EmTech (Technology Review‘s Emerging Technologies), conferenza annuale che il MIT di Boston dedica alle nuove tecnologie e al loro impatto, Nicholas Negroponte ha presentato un interessante esperimento sull’uso di nuovi media nel campo dell’istruzione in paesi in via di sviluppo. Esperimento che mette in discussione l’impianto complessivo del sistema educativo anche nei paesi occidentali.
Smart phones, tablets e console per video game vengono spesso visti come fonte di distrazione per i bambini in età scolare nei paesi occidentali, dove il modello di apprendimento è ancora fortemente basato sul rapporto insegnate/alunno.
Sostiene Negroponte, fondatore e presidente emerito del M.I.T Media Lab e presidente della fondazione One Laptop Per Child (OLPC): “Siamo al bivio tra sapere e capire. Sottoponiamo i nostri studenti a test per scoprire cosa sanno, ma in realtà di quello che sanno potrebbero non aver capito niente!”. Se l’argomento di per sé non è nuovo, l’approccio di Negroponte alla sua soluzione è invece alquanto innovativo.
Sebbene il progetto dell’associazione OLPC di dare a studenti dei paesi in via di sviluppo un lap top si stia concretizzando con buoni esiti, il suo nuovo obiettivo sono ora i 100 milioni di bambini che nel mondo ancora non accedono ad un percorso scolastico. Se non è pensabile che una singola organizzazione se ne faccia carico costruendo scuole in tutte le aree più remote del pianeta, l’alternativa proposta starebbe nel dare a questi bambini strumenti tecnologici che siano in grado di utilizzare da soli, tra di loro e con i genitori.
Per testare questa alternativa, in aprile l’OLPC ha consegnato in un isolato villaggio sugli altopiani dell’Etiopia delle scatole contenenti dei tablet /computer carichi di libri, giochi e app in lingua inglese. Nessuna indicazione sul contenuto delle scatole e su cosa fare con esse è stata fornita ai bambini, che come gli altri abitanti del villaggio non avevano competenze ne’ di lettura ne’ di scrittura.
“Pensai che si sarebbero limitati a giocare con le scatole” spiega Negroponte. “E invece, nel giro di pochi minuti, i bambini le avevano già aperte e avevano imparato ad accendere i tablet e, nel giro di pochi mesi, avevano imparato l’alfabeto inglese”.
La domanda è ora se quei bambini etiopi impareranno davvero a leggere e scrivere in inglese e in quanto tempo lo faranno. Le risposte che tale “esperimento” potrebbe dare sui processi di apprendimento e sull’utilizzo di device elettronici in loro supporto sono di grande importanza non solo perché impatterebbero su quei 100 milioni di bambini senza altre chance di istruzione, ma anche perché aprirebbero la strada a importanti modifiche (in meglio) dello stesso sistema scolastico occidentale.
La chiave di volta nel processo di apprendimento, tutti i presenti hanno concordato, tanto nei paesi industrializzati quanto in quelli arretrati sembra essere proprio il coinvolgimento attivo del bambino, non più relegabile al solo ruolo di ascoltatore e “magazzino” di nozioni.
La facilità dell’accesso alle informazioni (alla portata di chiunque abbia una connessione Internet) rende prioritaria oggi un’altra missione nella scuola e negli educatori dei nativi digitali: insegnare loro a utilizzare la massa di nozioni che hanno a disposizione. E un modo per fare ciò in modo creativo e critico potrebbe essere proprio il gioco, anche sui device elettronici.