The Last Guardian: conquistare la fiducia di un amico

The Last Guardian è stato uno dei videogame più attesi degli ultimi 9 anni: annunciato nel 2007, tra rimandi e presunte cancellazioni prontamente smentite da Sony, l’opera è arrivata ai consumatori solo a Dicembre 2016 in esclusiva per PlayStation 4.
L’enorme senso di attesa è dovuto al fatto che The Last Guardian è la terza opera magna di Fumito Ueda, geniale e visionario game director noto agli appassionati per i bellissimi ICO (2001) e Shadow of the Colossus (2005) pubblicati in origine su PlayStation 2. Per chi fosse interessato è utile sapere che per PlayStation 3 è ancora possibile recuperare entrambi i videogiochi raccolti in un’unica antologia.
Ico, oltre ad essere a tratti ispirato (esteticamente parando) alle opere metafisiche di Giorgio De Chirico, è una storia commovente in cui – tra le tante tematiche – prevale il concetto dell’aiutare gli indifesi; in Shadow of the Colossus invece domina una lunga riflessione sull’opportunismo e sulle conseguenze delle nostre azioni.
In un mercato videoludico prevalentemente dominato da titoli di azione, questo breve preambolo è stato doveroso per cercare di far capire al lettore di Mamamò i motivi per cui The Last Guardian sia stato così tanto atteso dai videogiocatori più “consapevoli”: non capita tutti i giorni di vedere arrivare nei negozi un’opera che punta dritta al cuore.

Passiamo a raccontare qualcosa sugli aspetti positivi di The Last Guardian. L’obiettivo di stupirci creando un rapporto quasi simbiotico tra un giovanissimo ragazzo in fuga da un castello ed una strana, tenera, ed enorme creatura (che sembra un incrocio tra un cane, un felino, un roditore e un uccello) è stato pienamente centrato. Proprio come quando, nella vita reale, accogliamo un cucciolo nella nostra quotidianità, anche nel gioco è stato ricreato molto bene il fatto di dover a poco a poco conquistare la sua fiducia. E questa è la magia che evoca The Last Guardian: la storia (su cui non occorre rivelare particolari) passa quasi in secondo piano, ciò che ci spinge ad andare avanti è proprio il piacere nel veder svilupparsi il legame tra il ragazzino senza nome e Trico (la creatura che all’inizio troveremo incatenata e ferita, diffidente verso di noi, ma comunque bisognosa del nostro intervento). Sostanzialmente The Last Guardian è l’avventura di un ragazzo e del suo fedele amico/animale che riescono da soli a superare mille avversità: un espediente non originale nel mondo della letteratura, del cinema e persino dei videogame, ma che comunque riesce a toccare l’emotività del giocatore.

The Last Guardian

Anche da un punto di vista tecnico il lavoro è tutto sommatto apprezzabile: è vero che per certi aspetti un occhio esperto noterà subito che The Last Guardian non spinge a fondo le capacità di PlayStation 4 che, con ad esempio opere come Uncharted 4, ha dimostrato di saper fare di meglio. Tuttavia è chiaro da subito che il gioco di Fumito Ueda non punta certo a far leva sulla grafica, che resta comunque sufficientemente evocativa e adatta all’atmosfera. Chi poi ha apprezzato le precedenti opere di questo game director troverà che lo stile estetico è perfettamente riconoscibile e unico. Come da “tradizione Ueda” anche le musiche e gli effetti sonori si amalgamano coerentemente al contesto.

The Last Guardian

Passiamo ai tasti dolenti. In un gioco di piattaforme e puzzle in 3D per il gameplay è fondamentale la telecamera che qui, spesso, invece di assecondare i nostri movimenti e le nostre esigenze sembra soltanto remarci contro. In diverse situazioni capita di restare bloccati perchè l’inquadratura si “incastra” dietro qualche roccia o colonna del castello, di fatto impedendoci di vedere il nostro alter-ego sullo schermo e di capire come proseguire. In altre addirittura la telecamera cerca una soluzione, cerca di divincolarsi: il risultato è una serie di spostamenti repentini e traballanti che provocano anche una spiacevole sensazione alla vista. In definitiva si tratta di problemi di level design che fino a qualche anno fa potevano essere perdonati date le ridotte capacità di calcolo delle console, ma che oggi non dovrebbero esistere (segno forse che lo sviluppo di The Last Guardian è stato travagliato) perchè a tratti rendono l’opera frustrante.
Trico ci offre una mano (grazie alla sua mole) non solo a liberarci di certi nemici ma anche a superare alcuni enigmi. Ciò che però si nota fino al termine dell’avventura è che spesso per risolvere questi puzzle non bisogna far nulla: semplicemente è sufficiente arrampicarsi sul dorso del nostro amicone e aspettare che sia lui a risolvere la situazione. Da un gioco con enigmi ambientali sarebbe lecito aspettarsi un po’ più di impegno per la nostra materia grigia.

The Last Guardian

Classificato Pegi 12, in definitiva anche The Last Guardian impone di ponderare l’acquisto nel caso (dato che siamo vicinissimi a Natale) si tratti di un regalo per un ragazzino. Nonostante i problemi evidenti di gameplay, è comunque facile affezionarsi al ragazzino senza nome (che sembra esser stato rapito e condotto nel castello per motivi sconosciuti) e a Trico; il loro rapporto e la particolare ambientazione quasi poetica sono la principale leva che invoglia a proseguire nell’avventura. Detto questo è necessario comprendere che un giovane videogiocatore abituato a titoli immediati e meno “di atmosfera” potrebbe inizialmente essere incuriosito dal gioco, ma poi potrebbe perdere questo stimolo di fronte ai difetti elencati sopra. In questo caso meglio forse assaporarlo insieme ad un genitore/videogiocatore.