Abzu: poesia nelle profondità del mare

Sulle pagine di Mamamò qualche tempo fa era stato recensito Journey, un videogioco creato da Thatgamecompany nel 2012 che è stato molto apprezzato dalla critica specializzata per le sue qualità artistiche e l’ambientazione poetica. Come spesso accade per questa tipologia di opere, Journey non divenne un campione di vendite ma una piccola grande perla in un mondo di blockbuster.
Questo preambolo serve ad introdurre il fatto che Abzu (pubblicato via digital delivery su PSN e PC nel 2016) ha in comune con Journey molte cose a partire dallo sviluppatore: alla guida del progetto c’è infatti Matt Nava, fondatore della software house Giant Squid ed ex art-director di Journey.
In soldoni si potrebbe affermare che Abzu sia una sorta di Journey sottomarino: mentre l’opera di Thatgamecompany era ambientata in location sabbiose, qui invece ci ritroviamo ad esplorare l’oceano e le rovine di una misteriosa civiltà.
Grafica, estetica e persino il modo in cui ci viene raccontato il destino di questi abitanti sottomarini ricorda, ancora una volta, quanto già apprezzato nel gioco del 2012: non ci sono vere sequenze di intermezzo o dialoghi ma Abzu è prevalentemente basato su una pacifica esplorazione dell’ambiente ed è il giocatore che, se vuole, è libero di soffermarsi ad ammirare i disegni lasciati nelle rovine e di provare ad interpretarli in modo da maturare una propria idea su quanto accaduto in questa specie di Atlantide.
Ribadendo che il gioco è fortemente basato sull’esplorazione, è presente comunque un leggero contorno formato da piccoli puzzle che sono tutti di semplice risoluzione e che, in buona parte, prevedono l’interazione con strutture o creature marine. È bene precisare che Abzu non vuole assolutamente spaventare il giocatore: nella realtà sappiamo che l’oceano è anche oscuro, nelle profondità non c’è luce, e vi si nascondono animali che non hanno sempre un aspetto molto confortante. Il gioco invece è pieno di luce, accogliente, e lavora sulle suggestioni, non sulla grafica iper-realistica. Ci sono dei brevissimi frangenti in cui ci si sente “persi nel blu” ma per il 95% dell’avventura la via da seguire è sempre molto chiara e visibile.
Abzu è quindi un gioco che vuole essere contemplato: si finisce in poco tempo (possono bastare anche una manciata di ore) perché la speranza è che il giocatore senta la voglia di rituffarsi nel suo mondo sottomarino semplicemente per godersi la pace, l’atmosfera che (sempre come già accaduto in Journey) è così ammaliante proprio perché è tanto distante dalla vita chiassosa e frenetica che viviamo tutti i giorni nella realtà. Forse questo genere di videogiochi vogliono scavare nel cuore e nella mente dell’uomo per ricordarci che siamo anche noi creature della Natura e che, come nella filosofia olistica, abbiamo un ruolo nell’influenzare l’universo (la più piccola parte influenza il tutto e, a sua volta, il tutto influenza la piccola parte).
Consigliereste Abzu ad un bambino? Sebbene sia un Pegi 7 come già accaduto per altre opere anche in questo caso la risposta è “dipende”: dipende dalla maturità della persona perché, come già precisato, Abzu è un gioco immediato ma lento (nonostante sia breve in termini di quantità di ore) e punta molto a coinvolgere il fruitore da un punto di vista quasi poetico ed onirico. Per questo motivo può non sempre essere l’ideale per i più piccoli che, essendo in una fase della vita in cui sono molto attivi perché desiderosi di apprendere, potrebbero a volte preferire qualcosa di più movimentato e veloce.
Da questo punto di vista l’acquisto di Abzu va ponderato anche per un adulto: purtroppo non tutti amano lasciarsi coinvolgere da opere ludiche di questa portata. Eppure una partita male non fa; potrebbe essere una buona occasione per almeno provare a far riaffiorare un poco della propria calma interiore.
In conclusione Abzu ricorda molto, forse troppo, Journey? Sì, ma in questo caso non è una caratteristica negativa.