Studenti contro docenti: dalla condivisione di video alla condivisione educativa
“Prof non mi faccia incazzare, mi metta sei … chi è che comanda? … si inginocchi”.
In questi giorni abbiamo sentito più volte queste parole e abbiamo visto le immagini di questo ragazzo della scuola secondaria di secondo grado che tentava di strappare il registro al prof e con l’indice puntato lo minacciava. Abbiamo anche letto molti commenti su questo episodio: non vogliamo aggiungere altre parole, ma proporre spunti di riflessione per allargare lo sguardo su questa vicenda. Non sappiamo cosa sia successo prima e poco sappiamo di cosa è successo dopo queste immagini catturate, perché abbiamo visto un frammento della vita di questa classe: proviamo solo riguardare la scena e tutti i protagonisti.
Il ragazzo che aggredisce il prof.
Certamente le sue parole e i suoi gesti sono altamente aggressivi e offensivi: nessuno si dovrebbe permettere di rivolgersi così né a un adulto, né a un compagno. Di lui però non sappiamo nulla, non sappiamo se è un suo comportamento abituale, non sappiamo nulla dei suoi genitori e della sua storia, se ha problemi oppure no.
“Se gli avessero dato due schiaffi quando era piccolo”: magari ne riceve tutti i giorni e ha imparato che è la violenza il modo con cui ci si relaziona agli altri; magari è in balia di se stesso e privo di qualsiasi regola e limite.
Non possiamo saperlo e sapendo nulla, dovremmo evitare di giudicare e trarre conclusioni.
Si merita una sospensione? A questo punto sì, anche la bocciatura.
Tanti hanno detto o pensato: “se fosse mio figlio … non avrebbe neanche avuto il coraggio di tornare a casa … l’avrei punito severamente”. Ecco, se fosse nostro figlio, se fosse mio figlio, dopo il dolore per non essere riuscito ad aiutarlo a relazionarsi in modo adeguato con gli altri, desidererei fortemente che grazie a interventi anche severi capisse le conseguenze delle proprie azioni, ma ancora di più vorrei essere consapevole della necessità di avviare un lungo lavoro per ricostruire l’educazione emotiva e relazionale, l’empatia che sembrano totalmente assenti in queste immagini e vorrei che un ragazzo di 15 anni non fosse dato per perso, ma che lui e a noi come famiglia fossimo accompagnati e aiutati.
A chi grida espulsione da ogni scuola per sempre, chiedo appunto “e se fosse vostro figlio?” Il compito educativo e di cambiamento della sanzione è essenziale, soprattutto per un minore, se non vogliamo condannarlo in quel ruolo per tutta la vita, senza altre possibilità, se non quelle di reiterare questi comportamenti.
Ma prima di arrivare alle sanzioni, inevitabili per dare un chiaro segnale di stop a questi atteggiamenti e far capire che i propri gesti hanno conseguenze, si poteva fare qualcosa? Certo! Esistono progetti di prevenzione e promozione del ben-essere relazionale ed emotivo. Basta farli e basta iniziare da quando i bambini sono piccoli.
Costano troppo? E i costi -economici ed emotivi- di ciò che abbiamo visto in queste immagini quali sono?
Si perde tempo e si sottrae tempo ‘al programma’? E il tempo perso in quella classe e nella vita delle persone che sono state coinvolte come lo quantifichiamo?
Il prof e la sua (non)reazione
Il docente nel video non reagisce, sappiamo dai giornali che non ha segnalato l’accaduto ai colleghi e al dirigente scolastico. Perché il prof si comporta così è un altro aspetto che non conosciamo della vicenda. Dal momento che l’accaduto è stato reso noto dalla diffusione delle immagini, può rimandarci un vissuto di sconfitta e impotenza (“tanto non cambia nulla”), forse anche di paura e mancanza di strumenti per gestire le molteplici individualità problematiche di una classe.
Qualcuno ha ipotizzato, che fosse un atteggiamento meditato per non innescare un’escalation di violenza. Esprimo però la preoccupazione che si possa trasformare in un messaggio per tutti coloro che assistono: gli adulti non sanno cosa fare, alla fine è vero che i più forti hanno la meglio sui più deboli.
Aspettare che le situazioni si risolvano da sole, ignorare, non è mai una soluzione efficace e presenta il conto. Un conto spesso salato, come nelle immagini che tanto ci hanno indignato in questi giorni.
Tuttavia, sospendendo ogni giudizio, possiamo guardare alla solitudine di questo docente: è solo in questa classe, non chiede aiuto dopo ai colleghi, non ritiene che sia risolutivo informare il dirigente, è quasi ovvio che ritiene superfluo parlare con genitori.
In quali situazioni viene a mancare in noi adulti la capacità di condividere? Quando iniziamo a pensare di essere sufficienti da soli per crescere un bambino/a, ragazzo/a?
Scaricarsi gli uni sugli altri le colpe non aiuta i ragazzi a diventare autonomi e ad assumersi le proprie responsabilità: dobbiamo ripartire dall’imparare a comunicare in modo efficace tra noi adulti a tutti i livelli e dal prenderci cura di noi, della nostra formazione perché essere insegnanti o avere un figlio non ci rende educatori, esattamente come possedere uno strumento musicale non fa di noi un musicista.
Chi riprende la scena e gli smartphone
Qui non abbiamo un solo personaggio che agisce, ma almeno due: c’è anche chi riprende la scena e incita il ragazzo ad aggredire il prof: chi riprende è responsabile tanto quanto chi agisce.
Qualcuno ha affermato che questa è la riprova che gli smarphone non dovrebbero stare in classe: mi sento di rassicurare sul fatto che l’uso didattico degli strumenti tecnologi non prevede che siano usati a scopo di violenza e umiliazione, ma proprio per il contrario ovvero per costruire delle competenze d’utilizzo creativo, attivo e responsabile.
Dobbiamo togliere i cellulari ai ragazzi?
In questo episodio l’ultimo dei problemi mi pare lo smartphone e che la scena venisse ripresa: senza il video, probabilmente questo episodio non sarebbe mai stato mai reso noto, ma si sarebbe comunque verificato nella sua gravità. C’è sicuramente bisogno di una seria educazione al digitale, ma ricordandoci sempre che l’accento deve essere su educazione, che è ciò che è venuto a mancare in prima istanza in questa aula scolastica nel momento catturato dalle immagini.
Tra l’altro noi adulti, dai nostri account social, abbiamo chiesto una maggiore educazione digitale, e spesso l’abbiamo fatto condividendo le immagini di un minore non a fini di indagine. Tra l’altro il ragazzo in questo momento ha dichiarato di essere preso di mira sui social anche con messaggi di morte. Inoltre non posso fare a meno di pensare a come possa sentirsi il prof dopo una vita di insegnamento nel rivedersi più volte in una situazione che lo cristallizza evidentemente in un momento di difficoltà.
Ricordiamo anche che ognuno di noi è responsabile di ciò che condivide e di ciò che ne consegue.
Se anche la scena fosse stata architettata ad hoc proprio per essere pubblicata e visualizzata da molte persone, come ha ipotizzato qualcuno, non sarebbe stato più significativo interrompere la popolarità di questo filmato e smettere di condividerlo?
Gli spettatori
La classe è piena di persone, eppure oltre alla solitudine del professore, del ragazzo in balia di sé e delle sue emozioni e azioni distruttive, è assordante il senso di solitudine che sento negli spettatori.
Si odono risate, qualche parolaccia, qualcuno che incita, possiamo ipotizzare che qualcuno facesse finta di niente pur non approvando.
Nessuno si è alza per difendere il prof: lo sogno sempre davanti a episodi simili, ma forse sarebbe stato chiedere troppo a dei ragazzi. Nessuno dice al suo vicino: “Stanno esagerando” e nessuno ha pensato che insieme avrebbero potuto fare qualcosa: non un gruppo classe ma tanti individui soli. Nessuno ha nemmeno pensato di riferire ciò che era accaduto ad un adulto: perché Il 45% dei ragazzi se subisse o assistesse a un episodio di bullismo o cyberbullismo non lo direbbe a nessuno? Come possiamo diventare adulti significativi e degni di fiducia è una domanda che riguarda 1 su 2 di noi.
Su questa classe e su tutti coloro che hanno visto queste immagini va fatto un lavoro importante per spiegare che questa non è una modalità di relazione normale, che aggredire non è un modo efficace per ottenere ciò che si desidera e che omertà e paura possono essere vinte da responsabilità e collaborazione.
La società
Da questo episodio è nato un ampio dibattito, direi sociologico, in cui ognuno ha voluto esprimere la sua opinione.
Si è gridato al bullismo, o meglio al cyberbullismo. Bisogna chiarire che il bullismo è un fenomeno tra minori e coetanei che prevede intenzionalità nel colpire la vittima, reiterazione e ripetizioni di prepotenze nel tempo nei confronti di una persona più debole (asimmetria tra bullo vittima). Nei casi di aggressioni a docenti, possiamo evitare di usare impropriamente il termine bullismo, da un lato minimizzando, da un lato annoverando l’episodio tra ‘tanti’ che alimentano un generico allarme sociale, perché ‘mala tempora currunt’.
Siamo di fronte a un episodio grave che si configura come reato e dobbiamo affermarlo senza esitazione in modo preciso, usando però i termini corretti.
Dobbiamo essere altrettanto consapevoli che spaventarsi non aiuta ad affrontare le situazioni e non fornisce strumenti educativi: ci sono tante risorse nelle nostre scuole e nelle nostre famiglie. Del resto, la maggior parte di noi non ha affermato “Mio figlio non l’avrebbe mai fatto”, “I miei alunni non si sarebbe mai permessi”? Quindi possiamo dire che questi sono episodi gravissimi, ma che non sono la norma.
E per i tanti nostalgici che affermano che: “Ai miei tempi non ci saremmo mai permessi” condivido questo pensiero:
“Oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi; gli allievi insultano il professore; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani; gli anziani, per non apparire retrogradi o dispotici, acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell’uguaglianza …”
Non è un commento ai recenti fatti, ma Platone, più o meno nel 400 a.c
L’aggressività verbale e fisica tra pari, tra genitori e insegnanti, da parte di alunni verso i docenti e da parte dei docenti verso gli alunni è una realtà presente nelle nostre scuole, che non possiamo nascondere o fingere di scoprire improvvisamente dopo qualche fatto di cronaca. Non dobbiamo pensare neanche che sia la norma e la normalità e che non abbiamo risorse.
Si può prevenire e si deve prevenire: non è una battaglia che si vince da soli, ma riconoscendosi come alleati con cui condividere informazioni, preoccupazioni, strategie e soluzioni.