Punti di vista: Giulio Blasi

Punti di vista: Giulio BlasiBiblioteche digitali e tecnologie multi-touch, ma anche media education, curricula scolastici e lezioni di programmazione fin dalle scuole elementari… Chiacchierata a tutto campo con Giulio Blasi, amministratore delegato della Horizons Unlimited, società che, nata nel 1993 con progetti di editoria multimediale, ha lanciato MediaLibraryOnLine, il primo network italiano di biblioteche digitali pubbliche.

Mamamò: Ci racconti che cosa è MLOL e di cosa si occupa?
Giulio Blasi: MLOL è un progetto nato nel 2009 attorno a due idee base: creare una piattaforma di aggregazione di contenuti per gestire il “digital lending” delle biblioteche e sviluppare un lavoro di cooperazione tra le biblioteche per gestire economie di scala a livello nazionale nel processo di passaggio al digitale. In termini concreti: MLOL è un sistema che permette agli utenti delle biblioteche partecipanti di consultare e prendere a prestito contenuti digitali di ogni tipo, ebook, audiolibri, video, musica, quotidiani e periodici, banche dati, ecc. Il tutto via Internet con una semplice username/password e l’identificativo della propria biblioteca di appartenenza.

M: Dal tuo punto di osservazione, all’interno di un sistema bibliotecario che si apre al digitale, come immagini evolverà il rapporto tra libri di carta e nuovi contenuti digitali?
GB: Tutti i dati che abbiamo a disposizione ci dicono che si apre un lunghissimo periodo di convivenza tra carta e digitale. Il tema della sostituzione radicale della carta con il digitale sarà – forse – un tema realistico per i miei pronipoti. Il vero tema è come gestire, articolare e programmare questa coabitazione e credo che sia ancora troppo presto per definire delle linee di tendenza anche se è chiaro che giocheranno un ruolo importante le tipologie di biblioteche coinvolte (conservazione, pubblica lettura, specialistiche, accademiche e di ricerca, per bambini e ragazzi ecc.).
 
M: I device digitali sono sempre più presenti nella nostra vita e in quella dei bambini di oggi. Molti educatori lamentano che l’uso di web, telefonini e tablet abbia conseguenze negative dal punto di vista dell’apprendimento, portando a una perdita di creatività e di capacità di approfondimento. Condividi questi timori?
GB: Non li condivido in alcun modo. Ritengo invece che si tratti esattamente del contrario. Le tecnologie rispondono a un bisogno molto preciso. Sono il sistema con il quale ci adattiamo (in senso darwiniano) alla crescita di complessità del nostro mondo informativo e della conoscenza. E’ il tema dell’ultimo libro (molto bello) di Weinberger. I critici come Nicholas Carr (o in salsa nostrana, Raffaele Simone) normalmente definiscono gli aspetti di criticità delle nuove tecnologie in termini di incapacità a riprodurre il canone di un ideale conoscitivo precedente (storicamente). Il punto è che né le tecnologie né i canoni conoscitivi (per usare un’espressione molto imprecisa) sono cose che decidiamo e sulle quali possiamo semplicemente dire sì o no. Si tratta di fenomeni evolutivi nei quali siamo immersi. Non ha senso la domanda “Google ci rende stupidi?”, ha senso invece la domanda “Come possiamo essere intelligenti con Google?”. Se una domanda ha 3 miliardi di risposte è molto difficile essere intelligenti “senza” qualcosa che assomigli a Google…

Per quanto riguarda i bambini, poi, l’impatto delle tecnologie multi-touch (come iPad e simili) è deflagrante. Il loro successo dipende dal fatto che esse semplificano radicalmente l’interfaccia di accesso a programmi informatici: la fatica, l’attrito, che anche l’uso del mouse comporta per un bimbo di quasi 5 anni come mio figlio scompare quasi del tutto su un dispositivo multi-touch (che lui è in grado di usare perfettamente da quando aveva 2 anni e mezzo). Cosa significa tutto questo? Potrei dirla con espressioni di una figura centrale della storia dell’informatica, Douglas Engelbart: queste tecnologie sono dei “potenziatori cognitivi“, permettono di fare con semplicità cose complesse. Dunque rendono più accessibile la complessità, in definitiva.

M: L’Unione Europea indica tra le competenze chiave del curriculum scolastico le competenze digitali, definite come la capacità di usare il computer “per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite internet”. Quali credi che siano le maggiori criticità del contesto italiano da questo punto di vista?
GB: Penso che questa visione dell’UE sia limitata e limitante. E’ la visione ECDL: usare il computer per usare programmi di automazione d’ufficio (word, excel, powerpoint) e un po’ di rete (web, posta elettronica, social network)… E’ necessario pensare una formazione verticale seria in questo ambito di cose. E’ impensabile passare la vita a interrogare database e motori di ricerca senza saper nulla di database. E’ assurdo muoversi quotidianamente in un mondo fatto di software e non possedere rudimenti di programmazione. E’ del tutto assurdo lavorare a familiarizzarci con sofisticatissime nozioni di metrica della poesia classica e poi saltare a pié pari ciò che è fondativo nel mondo di oggi.

Noi viviamo in un mondo plurimediale in cui la “carta” (ma io preferisco dire: i generi oggi diffusi su carta) è un medium tra altri assieme a televisione, videogiochi, computer, smartphone, tablet, cinema e così via… I curricula tradizionali sono invece basati ancora su una cultura ottocentesca fatta di sola scrittura. Oggi un bambino è sottoposto a decine di migliaia di spot pubblicitari video l’anno senza che la scuola affronti a livello curricolare il tema della “grammatica” audiovisuale, del montaggio cinematografico, della retorica pubblicitaria, ecc. Sappiamo tutto della poesia di Omero (si fa per dire) ma non conosciamo l’abc di come si costruisce uno spot pubblicitario…

Per quanto riguarda le tecnologie sarei drastico ad ogni modo. Rudimenti di programmazione sin dalle scuole elementari. A mio figlio insegnerò a usare ben presto Scratch, un meraviglioso ambiente di programmazione visuale sviluppato al MIT. Io sono laureato in filosofia, non un programmatore. Quando mi si diceva che il latino sviluppava lo “spirito logico geometrico” chiedevo sempre se lo faceva meglio della geometria stessa o della logica formale… Dobbiamo andare diritti verso il punto, inutile tergiversare.

Il contesto italiano è – tanto per cambiare – di sostanziale arretratezza da questo punto di vista. Ma a dire il vero, lo scoglio vero che ho spesso osservato è di tipo formativo prima ancora che tecnologico. Mi pare che la scuola italiana, ad esempio, non abbia ancora preso coscienza dell’enorme potenzialità della rete in termini di giacimenti di contenuti. Spero non si tratti solo di cattiva conoscenza della lingua inglese da parte degli insegnanti… Voglio dire: sono più sorpreso del fatto che un insegnante non attinga a risorse in rete (anche in termini di comunicazione con propri omologhi all’estero) sfruttando le potenzialità delle reti sociali di quanto lo sia della scarsa capacità di usare la lavagna interattiva in classe.
 

M: Come sarà la biblioteca del 2050?
GB: E’ una domanda complessa alla quale non ci sono risposte semplici perché le biblioteche sono tante cose diverse: libri consultati a scaffale, libri in deposito, conservazione, gruppi di lettura, attività di catalogazione, prestito, l’attività di reference fatta dai bibliotecari, gli eventi organizzati in biblioteca, ecc. Se poi prendiamo modelli avanzati come gli Idea Store di Londra, aggiungiamo attività di formazione a tutti i livelli e mille altre cose importantissime. Dunque un sistema sociale complesso del quale è impossibile tratteggiare l’evoluzione. Nel piccolissimo di quello che io mi occupo (il “prestito digitale”, cioè fare arrivare i contenuti delle biblioteche agli utenti attraverso la rete e non attraverso la distribuzione fisica) credo che il modello delle biblioteche digitali sia un punto di non ritorno. Qualunque cosa sarà – dal punto di vista della sua fisionomia sociale e organizzativa – la biblioteca del 2050 l’unica cosa certa è che farà uso in modo sistematico di “protesi” digitali che permettano ai suoi utenti di accedere ai contenuti 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana e 365 giorni all’anno, ovunque ci si trovi, attraverso la rete.

Ma questo è il destino della distribuzione dei contenuti in generale e quindi la mia non è una grandissima profezia. Nostradamus disprezzerebbe tanta genericità da parte mia…