Violenza sui mass media: come affrontarla con i bambini

violenza sui mass media

Nel 1981 la RAI raccontò, con oltre 18 ore di diretta, l’inutile tentativo di soccorso del piccolo Alfredino Rampi. Il bambino, 6 anni al momento dell’incidente, era caduto in un pozzo mentre rientrava a casa e si trovava a diversi metri di profondità da terra. La RAI documentò i tentativi di soccorso, tenendo incollati allo schermo oltre 21 milioni di persone. Bambini compresi. Per la prima volta la televisione portava in diretta la sofferenza e la morte all’interno delle abitazioni. 

Poi, nel 1987, ci fu la storia di Jessica McClure Morales. Anche la piccola bimba statunitense cadde in un pozzo e la CNN fece lunghe dirette per raccontare i soccorsi. In quel caso la bimba si salvò. In entrambi le situazioni, i bambini che seguirono le dirette dalla TV, possono raccontare di non avere passato notti serene pensando alle storie di questi bimbi.

Oggi ci siamo abituati a tutto questo? Effettivamente le vite in diretta non sono più una novità e si sono moltiplicati i dispositivi in grado di trasmetterle. Non solo. La violenza, la sofferenza e la morte fanno parte dell’intrattenimento presente in televisione e sui vari dispositivi presenti nelle nostre case. Facendo zapping in TV si passa senza problemi dalla notizia di migranti morti durante un naufragio, con tanto di foto e video a documentare, alla Prova del cuoco. Oppure su YouTube si può guardare il video di una persona che spara per poi soffermarsi sui miglior goal di Cristiano Ronaldo. Infine, scorrendo i social network o andando sui siti di quotidiani, tra una notizia e l’altra, ci si può imbattere in foto e video che “potrebbero mostrare immagini forti o violente” e offendere la sensibilità di qualcuno. Chi decide, però, quando la sensibilità di un minore può essere offesa?

Sotto i 5/6 anni teniamo i bambini al riparo da certe immagini

Tante volte l’importanza di certe notizie, penso ad esempio a un attentato terroristico, porta noi adulti a non riuscire a staccarci dalla televisione. In alcuni casi siamo sconvolti dalle notizie che arrivano e ci dimentichiamo che accanto a noi ci sono dei bambini che non hanno ancor strumenti adatti a comprendere quanto esce dallo schermo. I bambini sotto i 5/6 anni dovrebbero essere protetti da certi contenuti perché il fatto di sapere che nel mondo esiste il terrorismo non aggiunge nulla alla loro vita. Al massimo può portargli incubi e stati d’ansia. I bambini imparano a vivere dall’esperienza diretta e dall’interazione con gli adulti, non da televisione e YouTube.

Dopo i 6 anni parliamone ma non stimoliamo la curiosità morbosa

Con l’ingresso a scuola aumentano le capacità di analisi dei bambini. In questa età è bene non andare a cercare contenuti violenti da mostrargli, come possono essere film e video online, ma non ha senso tenerli all’oscuro da quanto capita nella nostra società. A seconda dell’età del bambino e della maturità si dovranno certamente scegliere i contenuti e le parole più adatte per raccontare quanto di brutto sta accadendo. Prima ancora delle immagini, però, contano i racconti che facciamo. Non ha senso lasciare un bambino davanti alla TV o, peggio, con un tablet in mano, a guardare le immagini di un attentato o di una rissa. Usiamo le parole, raccontiamo i fatti pensando alla loro sensibilità. Evitiamo che la violenza diventi un’esperienza di intrattenimento come altre.

Con l’adolescenza si può e si deve entrare nel merito delle questioni

Ancora una volta, più che un video, conta il modo con cui noi adulti ci posizioniamo di fronte a un contenuto di un certo tipo. Gli adolescenti devono essere stimolati a comprendere cosa sta capitando e a riconoscere gli stati emotivi che una certa immagine provoca in loro. Questo è il compito primario del mondo degli adulti. Ancora una volta dobbiamo evitare che l’esposizione mediatica diventi passiva, che le numerose immagini e notizie drammatiche entrino nelle nostre vite come l’ennesima serie TV. A questa età, ovviamente, i ragazzi  hanno molte più possibilità di accedere a contenuti e a immagini di ogni tipo. I media, oggi, permettono di curiosare e trovare qualsiasi genere di contenuto e quelli violenti non fanno eccezione. Certe volte tutto questo può anche essere utile al ragazzo perché, nell’immedesimarsi con quanto sta vedendo, fa un’esperienza che potremmo anche definire formativa. È bene però, come si diceva, che la violenza non sia uno dei tanti contenuti, che non sia uno show che fa ridere e basta, che non venga emulata.

In conclusione

La violenza e la sofferenza sono, purtroppo, contenuti che sullo schermo attirano parecchi spettatori e visualizzazioni. La curiosità, la possibilità di vedere cosa si nasconde dietro a un velo, la volontà di scoprire l’effetto che su di sé provocano certe immagini, portano a cliccare e a non spegnere la televisione, come invece certe volte dovremmo fare. Vedere il video di un incidente mortale di una ragazza in moto aggiunge qualcosa alle nostre vite? Ci fa guidare con più prudenza? Non credo. Sicuramente non mette al riparo i figli, a maggior ragione se piccoli, dalla possibilità di avere incidenti nel futuro. Lo stesso discorso vale per il video di un furgone che si butta sulla folla uccidendo e seminando terrore. Dobbiamo imparare a difenderci da certi contenuti che non aiutano a vivere meglio e rendono più complessa la comprensione di certi fenomeni.

Evitiamo dunque che la violenza entri troppo presto nella vita dei bambini mediante i media e aiutiamoli, una volta cresciuti, a comprendere la sofferenza che si nasconde dietro certe immagini.