eSports: i videogame da competizione sono sport?

Negli ultimi giorni si è cominciato a parlare in modo più ‘altisonante’ di eSports, ossia di videogiochi a livello competitivo e persino olimpico. Come al solito ne sono nate discussioni tra chi è favorevole e chi no, discussioni che, come sovente accade, vengono portate avanti da chi si ferma a leggere solo i titoli dei giornali (che spesso danno informazioni imprecise) senza approfondire un minimo la questione.

I videogiochi non sono, ancora, disciplina olimpica

Dato che sono stato invitato a scrivere un parere qui su Mamamò, partiamo allora da un dato di fatto: considerato il continuo crescere degli eSports nel mondo, il Comitato Olimpico Internazionale ha semplicemente espresso una iniziale apertura nei confronti dei videogame, senza affermare (come invece sembrano professare in molti) che gli sport elettronici siano già entrati a far parte del palinsesto delle competizioni olimpiche. A quanto pare se ne riparlerà solo dopo le Olimpiadi di Tokyo 2020, nella eventuale ipotesi di inserire gli eSports nei giochi olimpici di Parigi 2024. Ribadisco quindi che, per ora, si è solo accennato alla questione, siamo nel generico e non è possibile prevedere quale sarà la decisione finale.
Sempre per placare gli animi, occorre sottolineare che il Comitato Olimpico non ha nemmeno dichiarato che giocare ai videogame equivale a fare sport.

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Una squadra di videogiocatori professionisti fa il suo ingresso nell’arena

Non sempre si suda nello sport (come negli eSports)

Qualcuno dice ‘no’ agli eSports perché non c’è dietro una preparazione atletica. Al di là del fatto che non è esattamente così (ne parleremo dopo), dobbiamo ammettere che siamo tentati di credere che il termine ‘sport’ sia sempre associato ad una intensa attività fisica, soprattutto quando si parla di olimpiadi. Se però cerchiamo di ragionare un po’ meno di pancia, allora ci rendiamo conto che, da tantissimo tempo, a livello olimpico ci sono già competizioni che non richiedono una superlativa attività fisica: basti pensare al tiro con l’arco o al tiro al piattello dove l’abilità principale deve essere la coordinazione tra l’arma che si impugna e la vista. Ed il nocciolo della questione per alcuni potrebbe (ho volutamente detto ‘potrebbe’) essere tutto qui: lo sport è altro, non implica necessariamente lo sforzo fisico. Ci sono numerosi sport che non vertono necessariamente sulla competizione atletico-muscolare ma su quella mentale (anche gli scacchi sono riconosciuti dal Comitato Olimpico Internazionale) o persino sui motori (la Formula Uno, il Rally e chi più ne ha, più ne metta).
Ma se un pilota di Formula Uno si allena fisicamente e duramente per affinare e mantenere le sue abilità uniche, questo non implica che la stessa cosa non la possa/debba fare anche un professionista di eSports.

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Daniele Paolucci, uno dei campioni italiani di videogiochi calcistici

Non è facile essere un campione di eSports

Fare eSports non è da tutti: se faccio una partitina online a Call of Duty (o a qualunque altro videogioco) non sto facendo eSport nel senso più stretto, mi sto semplicemente intrattenendo giocando in rete contro altri utenti.
Videogiocare a livello professionistico significa cercare di dimostrare di essere un campione (o dei campioni, dato che in molti eSport si gioca a squadre) e per essere tale bisogna diventarlo seguendo anche uno stile di vita equilibrato. Un campione ha bisogno di allenare le proprie capacità di coordinazione, mentali e fisiche (anche se si tratta di videogiochi) e soprattutto non è da solo: dietro ci sono persone che lo sostengono, lo aiutano ad allenarsi (una famiglia, amici e talvolta, anche negli eSports, un team di preparatori e persino uno sponsor).
Così cerchiamo di levarci  dalla testa l’idea che l’eSporter (se così si può chiamare) sia la persona che si rifugia tutto il giorno davanti ad un videogame: se è così, quella persona non sta facendo l’atleta di giochi elettronici ma ha semplicemente un problema e forse ha bisogno del vostro aiuto per rendersene conto ed iniziare ad affrontarlo.

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StarCraft II, lo strategico per eccellenza degli eSports

Un campione di eSports compie 9 azioni al secondo

Tanto per fare un esempio delle doti che un videogiocatore professionista deve allenare, nel caso di Starcraft II (un ottimo strategico in tempo reale a sfondo fantascientifico e forse l’opera magna per quanto riguarda gli eSports, disponibile al download gratuito dal 14 Novembre 2017) un vero campione riesce a compiere 9 azioni al secondo: una abilità che non tutti riescono a raggiungere, pochissimi a dire la verità. Ecco perché gli eSport non sono da prendere sottogamba, non sono da tutti (chiunque può amare il calcio, ma non tutti siamo dei campioni di Serie A) ed ecco perché possono essere molto spettacolari, anche per chi assiste ad un match (a patto di conoscere almeno un poco l’opera oggetto della competizione): osservare lo scontro tra due campioni (o due team) significa assistere a qualcosa di raro e unico. Ecco perché in altre zone del mondo (in particolare Asia e America) gli eSport si praticano in grandi arene con tanto di pubblico, maxi schermo, commentatore: è una grande festa sportiva con tanto di celebrazione… ed anche lauti compensi per i vincitori (in alcuni casi si parla di diverse migliaia di dollari).

eSports in Italia: strada facendo

In Italia, come ho potuto ben constare nella mia carriera di divulgatore ed attraverso il mio lavoro riguardante le gaming-zone in biblioteca, siamo restii ad accettare cose nuove, ed ovviamente anche per quanto riguarda gli eSports siamo nell’area del canonico fanalino di coda. Questo non significa che non ci si muova in tal senso: Monza nel 2006 ospitò le finali del World Cyber Games con 700 partecipanti provenienti da 70 nazioni e con un montepremi totale di 462.000 dollari. Il problema è: quanta copertura mediatica ebbe l’evento? Chi se lo ricorda? Purtroppo, da noi quando si accenna agli eSports (a livello di informazione generalista) se ne parla poco, superficialmente e con informazioni poco precise che generano le solite discussioni cariche di retorica e che, certamente, non favoriscono l’integrazione del nuovo.
Eppure da noi gli ‘atleti videoludici’ non mancano e generalmente sanno dare del filo da torcere in quasi tutti i videogiochi competitivi, da quelli sportivi ai picchiaduro, dagli strategici ai first person shooter. Per chi volesse approfondire un poco l’argomento consiglio di visitare il sito dedicato agli eSports curato da The Games Machine.

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Barcellona: sul palco dell’All-Star ‘League of Legends’ 2016

In Italia, inoltre, gli eSports sono disciplinati ufficialmente dalla GEC (Giochi Elettronici Competitivi), nata nel 2014 in veste di nuovo settore dell’ ASI (Alleanza Sportiva Italiana) e realtà riconosciuta dal CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), e può contare oltre 20.000 tesserati e diverse centinaia di tornei realizzati. Come accennato prima, nel ‘bel paese’ queste iniziative non riscuotono ancora un grande impatto mediatico: a volte le finali nazionali si svolgono in piccole aree circoscritte ed inserite nel palinsesto di qualche più ampia fiera di settore. Eppure diverse analisi di settore mostrano una crescita, tanto che, come riporta anche un articolo de Il Sole 24 Ore, ci sono realtà pronte ad investire e a credere in un maggiore riscontro degli eSports sul suolo nostrano: Telecom, Samsung, Red Bull e Adidas, tanto per citarne alcune. Non resta che aspettare e vedere come si evolvono le cose.

Intanto, e come sempre, prima di etichettare qualcosa come ‘negativo’ o sbagliato ricordiamoci di prenderci del tempo per conoscere almeno un minimo l’argomento in questione.