Giochi educativi: meglio se si gioca insieme

coinvolgimento genitori

Alla recente edizione della Children’s Media Conference di Sheffield, dedicata ai contenuti per bambini tra tv, videogiochi e universo digitale, la pedagogista Carla Fisher ha riassunto in 10 punti i principi che ispireranno nel prossimo futuro chi progetta giochi tecnologici. Tra i 10 punti che si possono consultare anche su Slideshare, emerge la necessità di “scrivere” giochi basandosi su un doppio presupposto, cioè avendo come pubblico di riferimento sia i bambini che i loro genitori. Come accade per esempio in molte opere della Pixar o nella serie di Sesame Street (in italiano Apriti Sesamo), alcune battute non possono essere colte dai bambini, ma divertono i genitori.

Questo principio, che prevede il coinvolgimento dei genitori, ci porta ad un altro importante punto: la promozione del gioco “dialogico” e collaborativo, quello cioè che spinge genitori e bambini a giocare insieme. A usare quindi console, tablet e smartphones non come baby sitter, ma come strumenti di un’attività condivisa. Come sottolinea Jordan Shapiro su Forbes, ricerche portate avanti negli anni Ottanta hanno dimostrato come i bambini che guardavano il programma Sesame Street insieme ai loro genitori avessero un livello di apprendimento maggiore. La pratica del co-viewing, cioè della visione condivisa, stimolava la discussione e il confronto, oltre a ridurre le paure e l’aggressività.

Lo stesso possiamo dire dei nuovi dispositivi digitali, che come abbiamo già sottolineato in precedenza, invece di essere banalmente contrapposti al gioco all’aperto dovrebbero essere valutati per i contenuti e l’uso che ne viene fatto. I giochi educativi interattivi possono accelerare l’apprendimento e lo sviluppo cognitivo. Ma funzionano meglio se genitori e bambini giocano insieme. I ricercatori anglosassoni lo chiamano Joint Media Engagement, un approccio che presuppone il coinvolgimento e l’interazione di diverse persone nell’utilizzo di media differenti. Alcuni giochi sono per esempio progettati per essere usati da più giocatori contemporaneamente e per stimolare quindi abilità sociali. E’ il caso per esempio di Toca Store, in cui i bambini devono alternativamente interpretare la parte del negoziante e quella dell’acquirente.

Fondamentalmente, parliamo di Joint Media Engagement anche quando scegliamo i contenuti cui esporre i nostri figli e stabiliamo dei limiti di esposizione agli schermi. Il Cooney Center a questo proposito cita 3 atteggiamenti differenti che possono essere assunti dai genitori. Tre stili di mediazione che sono stati identificati per la tv, ma che possono essere utilmente usati anche per i nuovi media:

  1. La mediazione restrittiva che stabilisce limiti di tempo e filtra i contenuti: “puoi giocare mezz’ora al tablet e niente giochi sparattutto”.
  2. La mediazione formativa che consiste nel parlare ai bambini del gioco che stanno giocando o del film che stiamo guardando, trasformandolo in un momento di dialogo e di apprendimento: “secondo te riesco a distruggere la casa dei maialini più facilmente se punto alla base o a metà dell’edificio?”
  3. La mediazione legata alla condivisione, che consiste nel giocare insieme o guardare insieme un film, senza discuterne e confrontarsi: quello che tipicamente accade al cinema, dove si condivide un’esperienza, ma non se ne parla necessariamente

A questi Shapiro aggiunge, in relazione ai nuovi media, il gioco in parallelo – che prevede il multitasking (mentre io lavoro al pc, mio figlio mi chiede come acquistare un giocatore a FIFA 13) – e il coinvolgimento asimmetrico che prevede l’uso di email, videoconferenze e chat tra genitori e figli e può sviluppare nei bambini un corretto utilizzo di media sociali online.

Qualunque sia il modello di utilizzo dei media digitali prevalente nella vostra famiglia, condizionerà il rapporto che i vostri figli avranno con essi. Atteggiamenti eccessivamente restrittivi, se non accompagnati dall’esempio e dal dialogo, rischiano di indurre nei bambini l’idea che solo agli adulti sia concesso fare quello che vogliono e che la maturità coincida con la liberazione dalle limitazioni. Meglio quindi – non ci stancheremo mai di ripeterlo – esporli a media ed esperienze differenti, possibilmente condividendole con loro.