Tutti a casa. Strategie per affrontare il lockdown con i ragazzi

Tutti a casa, di Alberto Rossetti

Noi adulti  abbiamo discusso molto, e continuiamo a farlo, circa l’opportunità di chiudere le attività rivolte ai ragazzi, dallo sport alla scuola, come misura preventiva rispetto alla pandemia da Coronavirus. Ormai siamo consapevoli dell’inevitabilità di nuove chiusure, le decisioni sono quasi prese, e sappiamo che ancora una volta le conseguenze per le nuove generazioni saranno pesanti, sia nel breve sia nel lungo termine. Nonostante questa consapevolezza, accantonando la rabbia per la mancanza di (possibili) alternative, torna il momento di attivare la nostra resilienza, soprattutto per aiutare i più giovani. Tornando a vivere in una situazione di lockdown, riprenderanno la didattica a distanza in modalità esclusiva e, inevitabilmente, si perderanno buona parte dei loro ritmi quotidiani.

Per tentare di accompagnarli, può essere utile capire come loro, i ragazzi, hanno vissuto la chiusura la scorsa primavera. In questo ci viene in aiuto il nuovo libro dello psicologo Alberto Rossetti, intitolato Tutti a casa. Amici, scuola, famiglia: cosa ci ha insegnato il lockdown (edito da Feltrinelli).

Il testo, rivolto ai ragazzi, è consigliato anche ai genitori e agli educatori in genere. Le considerazioni di Rossetti si alternano infatti alle testimonianze di tanti preadolescenti e adolescenti di tutta Italia, che si sono raccontati a volte con parole disperate a volte con allegria, proprio come è l’adolescenza. In quei mesi strani, sospesi, in fondo hanno capito molte cose. Il rapporto con il digitale ha ovviamente molto spazio nelle loro parole e proprio riguardo questo tema abbiamo rivolto qualche domanda all’autore per avere, se non risposte, consigli, per guardare con meno preoccupazione i prossimi mesi.

Alberto, come emerge dal tuo libro, il digitale durante il lockdown ha avuto un ruolo importante nella vita dei più giovani e non solo: videochiamate, dirette live, gioco online, chat… sono state le stanze virtuali in cui in qualche modo hanno continuato a sentire di essere connessi ai loro pari.

Dalle testimonianze riportate si evince però anche l’emergere di un retrogusto amaro, un progressivo senso di stanchezza per le relazioni connesse, lo spegnersi dell’entusiasmo iniziale…

“Nei mesi chiusi in casa il digitale è stato come un filo che ci ha tenuto legati alla nostra realtà fatta di scuola, amici, attività sportive, teatro… senza quel filo chissà come sarebbe andata, nessuno può saperlo. Però, come giustamente fai notare, con il passare dei giorni è subentrata anche un po’ di stanchezza per questo strano modo di stare insieme. Dal mio punto di vista, è come se ci fossimo accorti che il digitale, da solo, non produce relazione. Lo dice bene Marta, una ragazza di 18 anni, quando mi racconta che, non facendo più cose con gli amici, come andare a scuola, l’intervallo e parlare con il compagno di banco, non sanno più cosa dirsi perché hanno meno “aneddoti o battute o scherzi” da condividere. La soluzione adottata da questa ragazza, allora, è stata quella di trovare nuove attività da fare con gli amici sfruttando il digitale: serie TV guardate tutti assieme, lettura di libri ad alta voce, canzoni ascoltate con gli amici. Tutti noi, compresi i ragazzi, abbiamo bisogno di passare del tempo insieme, fare esperienze, condividere emozioni e momenti della vita. Il digitale, che siano i social network o le videochiamate, vanno certamente a potenziare quelle nostre relazioni. Ma non le sostituiscono. Questo, a mio avviso, il motivo di quella stanchezza”.

Nel libro parli anche di come i ragazzi hanno vissuto la didattica online. Per alcuni è stata un’esperienza positiva, una nuova chiamata alla responsabilità, ma per la maggior parte di loro hanno prevalso demotivazione, difficoltà logistiche, senso di isolamento e noia.

Cosa suggeriresti oggi a un docente per riattivarla con maggiore successo?

“Di inventarsi nuovi modi per far funzionare la scuola. Se non ora, quando? Ne parlavo giusto ieri con un professore di lettere alle scuole medie. Lui, con altri docenti, ha deciso di abolire i voti e di lavorare solo su progetti e autovalutazione. I ragazzi fanno una radio, registrano dei podcast, lavorano in gruppi mentre il professore li guida in questo percorso correggendoli dove necessario. È un anno difficile, questo, che viene dopo un anno che è stato difficile a sua volta. Lasciamo perdere le valutazioni, i compiti in classe, le interrogazioni e facciamo in modo che i ragazzi possano studiare con maggiore serenità. Sfruttiamo le potenzialità del digitale, non cerchiamo di piegare il digitale all’unico modo che conosciamo di fare lezione. L’altro giorno, ad esempio, è girata l’immagine di una ragazza interrogata con una benda sugli occhi. Non mi ha stupito. Nel libro un’altra ragazza mi ha raccontato di avere fatto l’interrogazione con le mani sul volto. Ma a cosa serve tutto questo? Il rischio è che i ragazzi si allontanino ancora di più dalla scuola… questa è invece l’occasione per farli riavvicinare, per mostrare che la scuola rappresenta la via per entrare nel mondo”.

Ci stiamo avvicinando a un nuovo lockdown. Che consiglio daresti ai genitori per gestire i ragazzi di nuovo in casa, davanti agli schermi senza altre alternative?

“Il primo consiglio è quello di lasciare ai ragazzi uno spazio per poter manifestare le loro emozioni. Questa seconda ondata, per alcuni versi, è più dura della prima quando non sapevamo bene che cosa sarebbe potuto succedere. Ora lo sappiamo e l’idea di stare chiusi in casa potrebbe fare stare male.

Il secondo è di non giudicarli. Un ragazzo di 17 anni, mio paziente, mi ha detto che l’idea di non poter uscire con la sua ragazza e con i suoi amici il sabato sera lo angoscia. E ha ragione. Questa sua sofferenza va ascoltata e non considerata “un vizio” di un adolescente. In adolescenza, il pensiero del futuro, è centrale. Non vederlo, restare immersi in un presente incerto, può essere doloroso.

Il terzo, pensando adesso ai dispositivi tecnologici, è quello di fare tesoro dell’esperienza passata. Andiamo oltre quello schermo sempre acceso, cerchiamo di capire che i ragazzi lo utilizzano per tenere vivo quel filo senza il quale tutto sarebbe molto più difficile. Aiutiamoli anche a non esagerare, a mantenere degli orari in cui si staccano dallo schermo e a evitare che prendano cattive abitudini, come ad esempio l’andare a dormire tardi la notte per giocare o fare altre attività al computer”.