A proposito di DAD, DDI e altri acronimi per la didattica digitale

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Con la fine del lockdown di primavera e l’inizio del nuovo anno scolastico abbiamo sperato di lasciarci alle spalle la didattica a distanza e il suo acronimo DAD, che ci ha tenuto compagnia in primavera; adesso, complice una situazione sanitaria nuovamente critica, ciò che è uscito dalla porta sta rientrando dalla finestra, con un acronimo tutto nuovo: DDI, Didattica Digitale Integrata.

Da un lato gli “esperti del digitale” ricordano come nessuna piattaforma possa favorire una didattica in digitale senza metodo e competenze specifiche. Inoltre, la scuola, anzi, le scuole, hanno escogitato molteplici soluzioni e realizzazioni della DDI, per cui è difficile trovare due istituti che abbiano adottato lo stesso sistema. Infine, in questo quadro articolato si inseriscono anche i genitori che talvolta indossano la veste dello studente e si siedono  ad ascoltare con i figli la lezione nel loro salotto.

Ci troviamo di fronte a una situazione dinamica e inedita, ma non per forza negativa: avere i genitori che assistono alle lezioni potrebbe essere una opportunità per portare le competenze e le conoscenze all’interno dell’ambito familiare, mentre avere diverse risposte a una stessa esigenza – prassi poco comune – potrebbe diventare un utile campo di indagine quando si riuscissero a confrontare risultati per fare emergere criticità e punti di forza utili per il futuro.

Proviamo dunque a fare chiarezza su ciò che si può fare e le diverse forme adottate.

Didattica a distanza: una definizione. Dalla FAD alla DAD

La definizione storica di didattica a distanza (se cercate su Google oggi, la maggior parte dei risultati delle prime pagine è posteriore a marzo 2020), o Formazione a distanza (FAD), “indica le attività didattiche che vengono svolte all’interno di un progetto educativo che prevede la non – presenza di allievi e docenti nello stesso posto”. Chi l’ha studiata sui libri sa che si sono succedute generazioni differenti di FAD, con modalità diverse, a seconda delle esigenze e degli obiettivi: si considera FAD l’acquisto per posta tradizionale o in edicola di corsi in dispense, o nella generazione seguente di audiocassette o cd rom, fino ad arrivare ai video. La terza fase comincia con l’arrivo dei computer e internet, e si divide in fase offline (scarico contenuti che uso quando sono disconnesso dalla rete), e fase online, o e-learning. Prima del 2020, lo studente in FAD era prevalentemente adulto, e nella maggioranza dei casi era una sua scelta utilizzare strumenti informatici.

La definizione ‘post 2020’ di Didattica a distanza – DAD invece la indica come “modalità che permette a studenti e insegnanti di proseguire i percorso di formazione e apprendimento, anche se fisicamente distanti”.
Quando siamo entrati nel primo lockdown, quello che si è attuata in diverse scuole non è stata una didattica a distanza in senso tradizionale: mancavano le competenze, le risorse ma soprattutto un progetto specifico. Non vi era inoltre una reale adesione dell’alunno (e delle famiglie) a tale progetto. Chi fa formazione sa che con l’allievo si stabilisce una sorta di “contratto formativo”, che lo studente accetta aderendo al progetto. A scuola esiste un patto educativo di corresponsabilità fra scuola e genitore, ma è anche vero che tale patto con gli alunni (specialmente nei primi anni di scuola) si costruisce quotidianamente con la presenza, la vicinanza, lo scambio e il supporto dell’insegnante al progetto che lo studente sta costruendo su se stesso.

Didattica della vicinanza e didattica della vicinanza inclusiva

In molti hanno infatti preferito usare l’espressione “Didattica della vicinanza” per indicare ciò che si stava facendo: più un modo per mantenere vivo il rapporto fra scuola, istruzione, allievi e famiglie che un vero “passaggio di informazioni”; era necessario rimodulare il rapporto e gli obiettivi, fornire un’alternativa. In altre parole, cercare di creare un nuovo contratto fra insegnante ed allievo, entrambi privati dei mezzi e dei modi tradizionali. Una collega che al secondo giorno di chiusura si filmava con il cellulare mentre spiegava una presentazione in Powerpoint sul monitor del suo computer ne era consapevole: non stava facendo didattica a distanza, ma manteneva un contatto con i suoi allievi, teneva viva l’abitudine alla scoperta del nuovo e allo studio.

Molte scuole si sono dotate di un “regolamento” cui attenersi per la didattica a distanza; ma vi sono stati anche interessanti i tentativi di rimodulazione del contratto stesso: io allievo assicuro puntualità, attenzione, telecamera accesa e pochi scherzi online, tu docente rifletti sui tempi di apprendimento online, sull’utilizzo di presentazioni, slides o materiale visivo per le spiegazioni che abbiano un tempo più limitato; io non copio e tu predisponi test che siano realizzati per essere fatti online, etc.

Si è parlato anche di didattica della vicinanza inclusiva, ovvero del tentativo -a volte maldestro ma sicuramente migliore dell’assenza- di fornire sostegno e supporto a allievi diversamente abili o con difficoltà di svariato genere, consci che con la chiusura delle scuole sarebbero stati soli e privi di aiuto. Tanto più che, online, se il docente curricolare parla è estremamente complesso essere di supporto tanto alla classe quanto al singolo alunno. In tal senso, la telefonata serale quotidiana di un docente a un suo allievo per ricordargli le azioni necessarie prima di andare a dormire, o la skype-call al pomeriggio per scrivere assieme una ricetta di cucina e poi realizzarla in due appartamenti separati non sono considerati FAD, ma certamente una dimostrazione di vicinanza e mancanza di abbandono da parte della scuola… E un esercizio della scrittura, della manualità fine, della progettualità….

DAD: esperienze e sperimentazioni

Nel corso dei mesi, grazie a un po’ di flessibilità e alla curiosità di alcuni docenti, sono sorte infatti sperimentazioni interessanti.

Tornando alla collega che filmava col cellulare lo schermo del computer, poiché gli studenti intervenivano per suggerire metodi più appropriati, ha cominciato a far registrare a loro i video, far preparare lezioni, quiz, migliorando l’attenzione, la partecipazione e contemporaneamente la sua professionalità.

Una collega di inglese, invece, ha diviso la sua classe in tre gruppi con i quali faceva 20 minuti di conversazione in inglese due volte la settimana. Con la classe intera faceva invece 50 minuti di esercizi di grammatica. Grazie a una convenzione con un istituto di lingue, ha inoltre proposto la certificazione linguistica (online) per gli allievi che ne facevano richiesta. I ragazzi stavano quindi meno al computer e – soprattutto nel tempo dedicato alla conversazione, essendo il gruppo numericamente molto ridotto – erano giocoforza più attivi che in classe (e per lei risultava meno problematico il momento della valutazione).

Un’altra esperienza interessante è sorta dalla consapevolezza di non poter usare le stesse modalità di sostegno passando dalla classe alla dimensione online: due professori, per quanto con ruoli differenti, non possono parlare in contemporanea nella stessa ora in una lezione online. Gli esperimenti sono stati diversi: dall’insegnante di sostegno che prendeva appunti e li condivideva con tutta la classe, al supporto via chat inserendo schemi e definizioni mentre il docente curricolare spiegava, fino all’iniziativa coraggiosa di ridurre il tempo scolastico dei docenti curricolari per avere tre/quattro ore settimanali (la didattica a distanza deve essere contenuta in un massimo di 22 ore, qualsiasi attività si stia facendo) in cui, a rotazione o in sottogruppi, si facevano in contemporanea gruppi di auto-aiuto e ripasso pomeridiano, lezioni di italiano L2 (seconda lingua, per allievi non madrelingua), gruppi di approfondimento, etc.

Esperienze a macchia di leopardo

Esempi importanti, ma che fotografano esperienze d’eccezione. Molte scuole hanno invece visto nuove difficoltà anche nella normale prassi quotidiana dove sono emerse problematiche importanti: la difficoltà di attenzione, la difficoltà di attuare online la valutazione, la complessità – in un sistema scolastico rigido come il nostro – di utilizzare forme flessibili di orari, l’incubo di molti insegnanti di non riuscire a portare a termine “il programma” o raggiungere gli obiettivi prefissati, l’impossibilità di fare laboratori, a cui si aggiungeva il noto problema della dispersione degli alunni più deboli. Il lavoro effettuato in quei mesi è stato un lavoro di emergenza che non ha soddisfatto nessuno, ma sul momento non si sono viste alternative, e ci si è messi in gioco.

DDI: esperienze di didattica digitale integrata

Come nel Monopoli, ritorniamo adesso al “VIA”: cosa ci ha portato di diverso la nuova DDI? La Didattica Digitale Integrata è riuscita a far danzare assieme il digitale e la lezione in presenza? L’integrazione è stato intesa in scuole diverse con modalità differenti.
Complice il fatto che le norme attuali hanno portato a una diminuzione del numero di studenti per aula, è stato difficile fin da subito far lavorare sempre tutta la classe assieme all’interno della stessa aula.

In alcune scuole si è scelto da subito di alternare certi momenti in presenza, e altri a distanza: per esempio una settimana a scuola e una a casa. In altre si è provato a privilegiare i laboratori e le attività pratiche in presenza, lasciando le lezioni più teoriche a distanza, anche se la rigidità dello schema orario è difficile da piegare a questo modello a “intermittenza”.

In altre scuole ancora si è invece adottato un metodo di divisione della classe: ogni giorno una piccola percentuale di alunni assisteva da casa alla lezione che si svolgeva in aula, grazie al supporto di telecamere e lim. Questa soluzione ha avuto il vantaggio di permettere di lasciare a casa i ragazzi che soffrissero dei primi sintomi di raffreddore, senza però far perdere loro la lezione ed è stata meno difficile da attuare di quanto personalmente mi aspettassi. Se è vero che è ben diverso realizzare una lezione in presenza rispetto a una a distanza, quando si ragiona sull’intero arco temporale della mattinata, questa modalità permette di lavorare con la classe e alternativamente con i ragazzi a casa lasciando a entrambi delle pause in cui riposarsi o effettuare compiti particolari.

Con l’ultimo DPCM e il passaggio a una percentuale di solo il 25% di alunni presenti in classe, questa modalità non risulta più attuabile perché la stragrande maggioranza di ragazzi è online. Si passa quindi nuovamente a cercare altre modalità, tenendo conto da una parte dell’esigenza di tutelare chi – durante la DAD – era “perso” e non poteva partecipare, dall’altra di evitare che si formino gruppi “differenziali”, dove in presenza a scuola ci siano solo alunni con disabilità o difficoltà varie, riuscendo a fare in modo che la scuola continui comunque a rappresentare un luogo di accoglienza per tutti.