Spiritfarer: un gioco sulla morte che celebra la vita

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Il gioco Spiritfarer inizia con l’inquadratura di una giovane ragazza addormentata che stringe il suo gatto tra le braccia. La telecamera si allontana e scopriamo che la nostra protagonista, Stella, e il suo gatto Daffodil stanno dormendo su una barca e su di loro incombe un’ombra minacciosa che poco dopo si presenterà come Caronte, colui che conduce le anime nell’aldilà. Con voce profonda ci racconta che ha deciso di andare in pensione e ora c’è bisogno di un nuovo traghettatore di anime (da qui il titolo Spiritfarer). L’ingrato compito ricadrà proprio su Stella, che insieme al suo dolce amico felino, dovrà capire come condurre al meglio le anime dei defunti oltre l’Ultima Porta.

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Da grande farò il traghettatore (di anime)

Il gioco colpisce immediatamente per la direzione artistica assolutamente sopra le righe. Colori accesi, animazioni eccelse, quasi paragonabili a quelle di un film d’animazione e musiche che richiamano nelle atmosfere quelle di Joe Hisaishi, che da anni impreziosiscono i lungometraggi dello Studio Ghibli. Spiritfarer rilassa la vista e l’udito calandoci in un paesaggio sospeso e senza tempo, dominato da un mare a volte calmo, a volte in tempesta, punteggiato da piccole isole in cui le anime dei defunti attendono qualcosa senza sapere nemmeno loro bene cosa, ripetendo i gesti che li contraddistinguevano quando erano in vita. Il compito di Stella è quello di riconoscere le anime pronte a passare oltre e di farle imbarcare sul suo traghetto. Una volta a bordo dovrà rendere questa transizione verso l’aldilà il più piacevole possibile.

Emerge proprio in questo frangente la componente gestionale di Spiritfarer. Ogni ospite avrà infatti le proprie caratteristiche, gusti ed esigenze e dopo pochi minuti ci si ritroverà a correre da una parte all’altra della barca giostrandosi tra l’esigenza di un caffè di Gwen e l’improrogabile necessità di zio Atul di continuare le sue attività di falegnameria anche ora che è passato a miglior vita. Stella potrà infatti costruire diverse strutture per soddisfare le esigenze degli ospiti. Queste potranno essere migliorate così da essere più efficienti e migliorare l’economia di questa piccola società galleggiante. Il giocatore sarà ben presto sommerso di richieste e missioni assegnategli da parte degli spiriti. Le attività da completare sono piuttosto varie e ben realizzate: si va dal tagliare la legna, alla pesca, al catturare fulmini nelle bottiglie. Stella avrà a disposizione una mappa per poter navigare tra le isole e i viaggi potranno anche essere interrotti da eventi casuali come temporali o mercanti. Con tutte queste cose da fare quasi ci si dimentica del tema principale del gioco: la morte.

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Il ricordo di una vita

Wittgestein diceva che “Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Di poche cose si può dire meno che della morte. Infatti, in questo senso Spiritfarer è senza dubbio un gioco sulla morte, pur non parlandone quasi mai, ma lasciandola aleggiare sulle vicende di Stella e degli spiriti. Non cerca di immaginare cosa succede alle nostre anime oltre l’Ultima Porta ma decide di concentrarsi su cosa vuol dire essere vivi. Proprio questo cercano gli ospiti a bordo della nostra barca: un ultimo assaggio del loro cibo preferito (anche fosse cibo spazzatura), un posto da chiamare casa, il tempo per dedicarsi finalmente alle proprie passioni a tempo pieno, che sia la meditazione o suonare una chitarra. A volte hanno esigenze meno concrete come la risoluzione di antichi rimpianti, non sempre sanabili. Di conseguenza l’atmosfera che permea la barca di Spiritfarer è gioiosa e vitale, nonostante questa non sia più vita, ma solo un ultimo ricordo di essa.

Attraverso i desideri degli spiriti impariamo a conoscerli, a capirli meglio e ad apprezzare la loro unicità. Quello che Stella fa esaudendo le richieste espresse dagli spiriti, infatti, è restituire loro la propria identità, appannata e confusa nei primi istanti in questo limbo. Questa è composta anche, o forse soprattutto, di piccoli gesti e debolezze. Molti dei personaggi sulla barca sono ispirati ad amici e famigliari degli sviluppatori e ciò risulta in una rappresentazione di vite e caratteri per forza di cose imperfetti, che non possono che farci ricordare a nostra volta persone che conosciamo. Sarà così impossibile non affezionarsi a qualcuno in particolare, ma come per tutti arriverà improvvisamente il momento di salutarli. A Stella non rimarrà che guardare le nuvole in cielo dove cercare di riconoscere  forme familiari e ricordare le vite di questi compagni di viaggio, tanto comuni quanto preziose.

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Una fetta di torta alla fine del viaggio

Spiritfarer è una palestra di emozioni dove convivono un lato più ragionato e votato all’efficienza e all’organizzazione della nave e uno più emotivo ed esistenzialista. Nonostante la grafica colorata possa ingannare, il gioco usa un linguaggio abbastanza maturo e affronta temi che potrebbero turbare un pubblico più piccolo. Per questo motivo lo consigliamo ad un pubblico dai 12 anni in su. Riteniamo, comunque, Spiritfarer uno strumento valido anche per i genitori che vogliono cominciare a parlare con i propri figli di uno dei temi forse più difficili da affrontare, anche con i ragazzi. Spiritfarer lo fa con grazia, trasmettendo un senso di pace e ponendo enfasi sull’importanza della nostra identità. Parla di morte, senza cadere in stucchevoli sentimentalismi. La morte in Spiritfarer è, appunto, improvvisa e senza senso, come nella realtà. Quello su cui possiamo forse riflettere, una volta spento il gioco, è che la morte può essere anche serena se riusciamo ad esprimere al meglio noi stessi e vivere pienamente il tempo che abbiamo a disposizione. Come ci dimostra Stella, questo può voler dire anche una fetta di torta in compagnia e ricevere un abbraccio quando la vita fa più paura.