Vivremo bene nel metaverso? Chiediamolo ai ragazzi…
Il metaverso esiste già o non esiste ancora? Se sì, in che modo esiste? Siamo partiti da queste domande per intervistare Alessio Carciofi, esperto di benessere digitale e autore di Vivere il metaverso, un libro che affronta un tema ‘di moda’, ma da un punto di vista particolare, quello dell’impatto emotivo sull’uomo. Alessio è sicuro che sì, “il metaverso arriverà e sarà una tappa evolutiva dell’Internet. Del resto, con un piede ci siamo già dentro, o meglio con i piedi della Generazione Zeta e Alpha, assidui frequentatori dei mondi del social gaming, quelli che io chiamo mondi metaversiali o protometaversi”.
Il metaverso dunque sarà una rivoluzione, con una portata simile a quella del Web 1.0 (i siti online) e del Web 2.0 (i social). “Nel Web 3.0, in più, ci sarà la dimensione immersiva nell’esperienzialità. I confini tra reale e virtuale si faranno ancora più fini, vulnerabili, sottili. La grande sfida oggi è comprendere come sarà questa evoluzione”. A partire anche dai valori che le nuove generazioni stanno riversando nella sfera digitale.
Alessio, oltre che di aspetti tecnologici ed economici, nel libro parli giustamente di nuovi confini emotivi, etici e politici del metaverso. Come arriveremo a questa nuova era digitale?
“Questo libro nasce in un camp estivo che svolgo ogni anno in Trentino sul mondo esports e digital education destinato ai ragazzi dagli 11 ai 17 anni, una fascia di popolazione fortemente presente nelle piattaforme metaversiali. Io, che sono un millennial e quindi dell’era protozoica rispetto alle piazze virtuali, gli slang e le community in cui i ragazzi vivono, mi sono trovato a voler comprendere meglio questi nuovi mondi, in costante avanzamento. Non sono uno di quelli che pensa che l’era dei social sia finita, piuttosto sono convinto che nei metaversi, che già ci sono o che arriveranno, ci sarà spazio per nuovi valori. Si tratta dei valori che la Generazione Zeta ci sta facendo scoprire, ovvero appartenenza, sostenibilità, umanità, uguaglianza di genere e rispetto. Spesso noi adulti puntiamo il dito contro le nuove generazioni per via del loro viscerale rapporto col digitale. In realtà siamo noi, nella nostra fragilità emotiva, a non essere in grado di gestire al meglio la tecnologia, a lasciare che controlli le nostre vite senza cogliere l’impatto che ha sulla nostra psiche e sulle relazioni interpersonali. Nel libro ho voluto mettere al centro quella che io chiamo la “transizione umana” o spirituale, il nuovo investimento sull’uomo che dovremo necessariamente fare nel Web 3.0. Qui avremo bisogno di una nuova integrità umana e di nuove consapevolezze, per non rischiare di ripetere vecchi errori, in un ambiente digitale che sarà ancora più invadente e insidioso per le nostre fragilità”.
Non ti sembra che l”hype’ che circonda questa nuova frontiera del digitale pecchi a volte di eccessivo ottimismo?
“Oggi si parla molto di metaverso, un hype che è scoppiato nell’ottobre 2018 dopo che Facebook ha fatto un’operazione di rebranding, dandosi il nuovo nome Meta. In questa conversazione c’è però poca sostanza e io mi metto per primo nella lista chi scrive libri sul metaverso senza realmente essere di casa, per limiti anagrafici, negli ambienti metaversiali in cui i ragazzi sono presenti. Quella che serve è una narrazione che vada oltre l’operazione di Facebook. Pensare che Facebook sarà il metaverso ci farebbe perdere totalmente di vista la portata della rivoluzione che sta arrivando, anche perché le nuove generazioni accendono i loro falò digitali altrove, su piattaforme come Twitch o Discord. Va riportata al centro una narrazione più vicina ai loro bisogni e ai loro valori. Se per esempio, i temi del benessere, dell’inclusione e della diversità sono per loro centrali, nella costruzione del metaverso non potremo non tenerne conto, dovremo aprirci a una riflessione anche in termini etici. Per esempio, chi conquisterà il metaverso e soprattutto i dati biometrici degli utenti che vi si immergono? Le solite piattaforme? Io ne dubito, accanto ad esse ce ne saranno anche altre più in linea con le coordinate delle nuove generazioni. Del resto, nel passaggio dal Web 1.0 al 2.0 i valori sono cambiati e lo stesso avverrà con il salto al Web 3.0″.
Nel libro approfondisci l’inclinazione della Generazione Z verso il digitale. Cosa rappresenterà per gli adolescenti di oggi il metaverso che verrà?
“I mondi metaversiali oggi effettivamente attivi (da Fortnite a Roblox) fanno sentire i ragazzi competenti. Al di fuori di essi, invece, c’è un sistema educativo che – come dice Daniela Lucangeli – continua a chiedere loro di “ricalcolare il percorso”, come se quello su cui si trovano fosse sempre sbagliato. In più, nei mondi metaversiali in cui si rifugiano i ragazzi si sentono autonomi e l’autonomia, che spesso viene negata loro dagli adulti nel mondo reale, è un passaggio fondamentale per lo sviluppo della propria identità. Poi c’è il tema dell’espressione, altro cardine fondamentale nel processo che serve a dare voce a una narrazione generazionale. Insomma, come adulti dovremmo abbassare il nostro ego e avere l’umiltà di riconoscere le loro competenze in campo tecnologico, per innescare una relazione di scambio: tu mi dai la tecnologia, io ti “insegno a vivere”, come diceva il filosofo Rousseau”.
Quali rischi vedi nel metaverso?
“Quanto ai rischi vedo che a livello atavico non stiamo comprendendo questa evoluzione e le grandi opportunità che può portare. Per esempio non ne stiamo capendo le potenzialità in campo professionale e non stiamo formando architetti metaversiali o plant designer che siano pronti a scrivere i connotati dei nuovi ambienti virtuali. Poi, ovviamente, c’è il rischio di non instaurare un rapporto sano e sostenibile con la tecnologia, rapporto che già ora, in presenza di un web meno complesso, non è ideale. Del resto, le piattaforme che fino a qui hanno dominato il web hanno imparato molto bene a conoscere le emozioni umane e ad utilizzarle per i loro interessi, mentre le istituzioni preposte a tutelare il nostro benessere e la nostra cittadinanza sono state più lente a capire e ad adeguare normative e direttive. Serve dunque che anche le istituzioni siano coinvolte nella “transizione umana”, che capiscano l’impatto delle emozioni e le includano nei loro linguaggi, oggi davvero troppo datati”.
Ma è davvero possibile che il mondo reale perda il suo fascino nel confronto con il Metaverso?
“Ogni generazione ha avuto il suo metaverso, dagli anni di piombo al fenomeno delle droghe, dove rifugiarsi per sentirsi un eroe, per sfuggire alle dinamiche familiari o per richiamare l’attenzione di chi stava intorno. Oggi viene percepito il rischio che i protometaversi possano favorire l’estromissione relazionale dalla società, ma non è questa la metanarrazione corretta, non è il modo per favorire consapevolezza su questi nuovi ambienti. Per esempio, per un ragazzo di oggi acquistare una skin su Fortnite equivale a un acquisto nel mondo reale e questo avviene perché il suo sistema valoriale è cambiato rispetto a quello delle generazioni precedenti. E non perché è alienato e dipendente dall’online. Se lo stesso ragazzo continua infatti a sentirsi coltivato e nutrito nel suo “focolaio amorevole”, se coltiva competenze e passioni, se vive relazioni autentiche, il rischio dell’alienazione nel virtuale non c’è. Certo, se il ragazzo non ha questo contesto intorno, il rischio che il metaverso diventi un’”eroina virtuale” c’è, anche perché sarà sempre disponibile, gratis e pervasiva”.